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Cina: Bergsten, per gli Usa un grave errore restare fuori dall'AIIB

20 marzo 2015 | 20.03
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"Gli Usa hanno fatto un grande errore, pensando di poter bloccare l'Asian Infrastructure Investment Bank e di riuscire a tenere lontani gli altri paesi". Per l'economista C. Fred Bergsten la decisione dei principali partner - Italia inclusa - di aderire alla nuova istituzione promossa da Pechino fa "parte di un processo e gli Usa stanno ripetendo lo sbaglio del Regno Unito che vorrebbe influenzare l'eurozona senza aderirvi"

Fred Bergsten
Fred Bergsten

"Gli Usa hanno fatto un grande errore, pensando di poter bloccare l'Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) e di riuscire a tenere lontani gli altri paesi: mi sembrava ovvio sin dall'inizio che tutti o quasi avrebbero aderito". E' netto il giudizio di C. Fred Bergsten, noto economista del Peterson Institute for International Economics, dinanzi alle continue adesioni (oggi anche quella della Svizzera) alla nuova istituzione proposta da Pechino e considerata una 'minaccia' al ruolo della Banca Mondiale

Come sottolinea all'Adnkronos, "la nascita dell'Aiib è un riconoscimento del ruolo che la Cina ormai esercita sull'economia internazionale e già dalla scorsa estate ho suggerito agli Usa di aderire, altrimenti avrebbero finito con l'isolarsi". "Così invece Washington riceverà un nuovo duro colpo alla sua immagine. Magari la vicenda dell'Aiib non è così importante ma - aggiunge l'economista - è parte di un processo: in fondo la vera questione di fondo è che una volta di più gli Usa non riescono a esercitare tutta la loro responsabilità nell'economia internazionale".

Sullo sfondo, ammette Bergsten, in passato consigliere di Henry Kissinger e del Tesoro Usa, c'è lo scontro di poteri in corso a Washington: "In questa legislatura abbiamo visto che il Congresso non sostiene le iniziative sul commercio dell'Amministrazione". E' uno scontro che ha portato, fra l'altro, Washington a bloccare la riforma del Fondo Monetario Internazionale (che avrebbe fra l'altro dato più visibilità alla Cina): "Vorrei sperare che questo spinga gli Usa a dare il via libera, ma penso piuttosto che non ci sarà nessuna reazione, e la riforma dell'Fmi resterà nel limbo" osserva lo studioso per il quale "probabilmente bisognerà aspettare un paio d'anni e l'arrivo alla Casa Bianca di una nuova Amministrazione".

Washington ha fatto come Londra che vorrebbe influenzare l'Eurozona restandone fuori

Peraltro, osserva Bergsten, "non sono sicuro che con un presidente repubblicano le cose peggiorerebbero. I repubblicani sono più aperti sulle tematiche del commercio, magari un loro presidente sarebbe più collaborativo, come si è visto con Nixon o Reagan".

Per il momento gli Usa non hanno nascosto l'irritazione verso l'adesione di molti alleati (a iniziare da Londra) a quella che considerano una iniziativa a rischio: "Certo - ammette Bergsten - trattando con i cinesi bisogna essere cauti ma per ora gli Usa si sono messi in trappola da soli. E' sbagliato pensare di poter influenzare l'AIIB restandone fuori: a gestire la banca saranno i suoi membri che nei prossimi mesi ne scriveranno lo statuto. Gli Usa stanno ripetendo lo sbaglio del Regno Unito che vorrebbe influenzare l'eurozona senza aderirvi: il risultato invece è che non ha nessuna voce nelle scelte" dei paesi della moneta unica.

"Certo - aggiunge - i cinesi vogliono sostenere le esportazioni delle loro imprese, e questo bisognerà tenerlo a mente. Ma credo che Pechino faccia una forte distinzione rispetto alla Banca dei Paesi Brics, che considera come una istituzione politica, senza troppi progetti. Ai cinesi il destino della banca dei Brics in fondo non interessa più di tanto, mentre con l'AIIB forse vorranno rispondere alle critiche di chi sostene che sia uno strumento nelle loro mani. E quindi penso che, al contrario, lavoreranno nella direzione opposta, rispettando le best practices così da farla diventare una istituzione credibile".

'La nuova banca avrà una forte leva finanziaria, magari Washington aderirà in futuro'

D'altronde, già con la dotazione di partenza, pari a 100 miliardi di dollari, per Bergsten "questa banca può essere una protagonista sulla scena economica perché avrà una forte leva finanziaria nel raccogliere denaro sul mercato dei capitali. Anzi, da quello che mi è stato detto, dovrebbe farlo con una leva superiore a quella di uno a uno che la Banca Mondiale - che è troppo conservatrice - continua ad adottare. Quindi i cento miliardi iniziali potrebbero diventare diverse centinaia di miliardi, insomma, un sacco di soldi".

"Quella degli Usa - osserva lo studioso - è stata una posizione irrealistica che aggiunge sfiducia nei rapporti con la Cina: Washington non ha nulla da guadagnarci. Magari, se la banca decollerà, alla fine gli Stati Uniti potrebbero aderire: forse ci vorrà qualche anno e servirà qualche compromesso, ma poi Washington e Tokio dovrebbero entrare nella banca".

"Prendiamone atto: la voce e il ruolo degli Usa non sono più forti come prima, la Cina è la seconda economia mondiale, ed è la prima in molti campi. E la storia - conclude Bergsten - ci insegna che se non troviamo il modo di fare spazio alle nuove potenze, possono nascere solo grossi problemi".

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