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Imprenditore denuncia banca: "In un anno interessi pari al 16,5% del debito"

01 maggio 2015 | 14.54
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La storia di Giuseppe Schirru: una lunga e controversa partita giudiziaria ancora in corso. Tra anatocismo e usura, il difficile rapporto con il credito di chi ha denunciato tangenti e infiltrazioni mafiose ed è stato costretto a chiudere la sua azienda. Di Fabio Insenga

Imprenditore denuncia banca:

Di Fabio Insenga

Un imprenditore contro una banca, con l'accusa di praticare "tassi di interesse usurari" e di essere responsabile di "un grave inadempimento" su un contratto di factoring. E una lunga e controversa partita giudiziaria, ancora in corso. La storia raccolta dall'Adnkronos del palermitano Giuseppe Schirru, imprenditore nel settore sanitario che ha denunciato episodi di corruzione e presunte infiltrazioni mafiose prima di dover chiudere la propria azienda, la Emyr Sanitaria, rappresenta un caso emblematico del rapporto spesso difficile fra impresa e credito. Un rapporto da cui, a prescindere dagli sviluppi giudiziari che faranno il loro corso, emerge con chiarezza il meccanismo perverso che trascina a fondo un imprenditore in difficoltà. A partire dall'accumularsi inesorabile degli interessi sul debito contratto con le banche. Nel caso di Schirru, come documentato dall'estratto conto della sua Emyr Sanitaria presso il Monte dei Paschi di Siena, un saldo iniziale negativo per 443.219 euro all'inizio di aprile 2014 cresce fino a un rosso di 516.757 euro un anno dopo, all'inizio di aprile 2015. Tutti interessi, nessuna altra operazione registrata: 73.381 euro in un anno, pari al 16,5% del saldo negativo iniziale.

Secondo Schirru e i suoi legali si configurerebbe l’anatocismo, ovvero l’applicazione degli interessi sugli interessi, vietata dalla legge, e anche l'usura. Ma sarà la giustizia, su questo aspetto, a dare una risposta definitiva. E' già stato presentato ricorso in appello rispetto a una sentenza di primo grado solo in parte favorevole, con l'obiettivo e la concreta aspettativa di dimostrare l'interruzione senza giusta causa di un contratto di factoring con la società specializzata della stessa banca, senza la restituzione di circa 200mila euro che la banca avrebbe incassato dalla Asl e non restituito al cliente, al di là degli interessi legittimi.

Nell'atto di appello, firmato dagli avvocati Massimo e Pippo Pollina, si ricostruisce il rapporto tra Schirru e Mps Leasing & Factoring. In forza degli accordi contrattuali, "al momento della consegna da parte della fattura ceduta", la società finanziaria "anticipava l’80% dell’importo della stessa, provvedendo al saldo del 20% al momento dell’effettivo pagamento della fattura da parte del debitore ceduto", ovvero la Asl. Gli anticipi su fattura, nella misura dell’80% prima, e del 20% dopo, "confluivano sul conto corrente utilizzato quotidianamente dallo Schirru per poter provvedere alle correnti esigenze di cassa della propria azienda". Tutto ciò "procedeva senza contrasti fino al mese di febbraio del 2003", quando Mps L&F "inopinatamente, senza alcuna comunicazione al riguardo, riteneva di non anticipare più né l’80% al momento della consegna delle nuove fatture, via via nel frattempo cedute, né il 20% al momento del pagamento del debitore ceduto, mentre Mps, a sua volta, impediva ogni operatività" sul conto corrente, determinando "la totale impossibilità dell’attore ad accedere alla liquidità necessaria per poter continuare a gestire regolarmente la propria azienda". Ricostruiti i fatti, l'atto di appello chiede di "dichiarare il grave inadempimento contrattuale della Monte dei Paschi di Siena Leasing & Factoring, che dal mese di febbraio 2003 non ha più provveduto ad effettuare giroconti dal conto factoring" intestato a Giuseppe Schirru. Conseguentemente, la richiesta di parte è quella di "condannare" la banca "alla restituzione delle somme prelevate in più rispetto a quanto dovuto, nella misura di 279.604,72 euro".

Non solo. La richiesta degli avvocati Pollina è anche quella di "condannare, in ogni caso" gli istituti bancari, "al pagamento della somma di 17.196,61 euro quale saldo attivo del conto corrente, al netto di qualsivoglia addebito di interessi, spese o commissioni di massimo scoperto". Richiesta a cui si aggiunge quella di "condannare in solido" le banche "al pagamento della somma nella misura equitativa di 250.000 euro o in quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti", tra l’altro riferibili, in particolare, "al mancato investimento nella propria azienda della somma residua ancora dovuta dal factor ed ai numerosi protesti elevati" a suo carico. Il valore complessivo del giudizio ammonta a 546.800 euro.

Una sentenza parzialmente favorevole Schirru l'ha già incassata nel giudizio contro Banca Antonveneta presso il tribunale di Termini Imerese. L'istituto di credito viene condannato "al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dalla illegittima segnalazione alla centrale dei rischi della Banca d'Italia, in favore della società Emyr Sanitaria della complessiva somma di 29.528,73 euro ed in favore di Giuseppe Schirru personalmente della complessiva somma di 14.764,37 euro oltre interessi al saggio legale a decorrere dalla data della presente decisione sino all'effettivo pagamento".

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