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Pil: C.conti, da clausola salvaguardia effetti negativi dello 0,6%

03 maggio 2015 | 12.06
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Nel biennio 2016-2017 farà crescere l'inflazione dell'1,8%, conseguenze negative anche sul potere d'acquisto delle famiglie. Imposta a rischio evasione, il gettito potrebbe essere inferiore rispetto alle stime.

(Infophoto)
(Infophoto)

L'aumento dell'Iva, previsto dalla clausola di salvaguardia, avrebbe effetti negativi sul pil dello 0,6% nel biennio 2016-2017, a causa del combinato disposto dell'aumento dell'inflazione e della riduzione del potere d'acquisto delle famiglie. La Corte dei conti raccoglie le simulazioni di tre istituti di ricerca (Cer, Prometeia e Ref), sulle conseguenze che avrebbe l'incremento dell'imposta sull'economia del paese. Nel dossier depositato in parlamento in occasione della discussione sul def la magistratura contabile osserva che la pressione fiscale, per effetto delle nuove aliquote, dovrebbe aumentare di un punto percentuale.

Il governo ha assicurato che intende disinnescare la 'bomba Iva' attraverso i tagli che dovrebbero essere previsti dalla spending review o dalla riforma delle agevolazioni fiscali; per il momento però ancora non sono state presentate le misure necessarie per evitare il pericolo. La rimodulazione dell'imposta sul valore aggiunto è prevista nella legge di stabilità 2015: l'aliquota ridotta passa dal 10% al 12% il prossimo anno per poi salire al 13% nel 2017; l'aliquota ordinaria dal 22% arriva al 24% nel 2016, arriva al 25% l'anno successivo e al 25,5% nel 2018). L'aumento del gettito fiscale, previsto dalla relazione tecnica, è di 12,8 miliardi nel 2016 e 19,2 miliardi nel 2017, per un totale di 32 mld nel biennio. A partire dal 2018 sarà di 21,3 miliardi.

L'aumento delle aliquote, secondo le proiezioni che accompagnano l'intervento, dovrebbe portare a un aumento del gettito Iva del 12,5%. Ma la magistratura contabile ricorda che l'imposta sul valore aggiunto è uno dei tributi su cui ''l’evasione fiscale incide in misura maggiore''; di conseguenza ''condurre le aliquote su valori estremamente elevati potrebbe tradursi in un deterioramento ulteriore della produttività dell’imposta, con conseguenti perdite di gettito atteso''.

Tuttavia, nelle simulazioni sugli effetti della clausola di salvaguardia, riportate dalla Corte dei conti, non si è tenuto conto del probabile deterioramento della tax compliance, e si è deciso di fare riferimento al valore facciale della manovra. Secondo le stime riportate dalla magistratura contabile il prossimo anno si dovrebbe registrare un aumento di un punto del tasso di inflazione ; nella media del biennio, la maggiore inflazione cumulata sarebbe pari a 1,8 punti percentuali.

La traslazione sui prezzi sarebbe ''quasi completa'', al contrario di quanto accaduto nel 2013, quando l'aumento dell'Iva dal 21% al 22% si è trasferito sul costo dei prodotti solo per il 40%. L'evento ''eccezionale'' che si è verificato due anni fa, spiega la Corte dei conti, è stato provocato dalle condizioni di ''profonda depressione della domanda aggregata'', osserva la Corte dei conti. Infatti tra il 2011 e il 2013 la spesa per consumi delle famiglie si è ridotta del 6,8% in termini reali (3 per cento in termini nominali); le imprese, di conseguenza, hanno dovuto assorbire l’aumento dell’Iva nei propri margini di profitto.

La situazione sarà diversa nel 2016 perchè, spiega la magistratura contabile, le condizioni di crescita saranno ''certamente più distese''. In sostanza l'aumento delle aliquote, che riguarderà quasi il 75 per cento dei beni del paniere di consumo, ''si traslerà sui prezzi, seguendo le regolarità storiche osservate in passato''. La Corte dei conti avverte che ''assumere come 'nuova regolarità' l’ipotesi di assenza di traslazione, significherebbe invertire radicalmente l’interpretazione che abitualmente viene data degli interventi sull’Iva''. Infatti è ''consueto'' considerare come regressiva una manovra sull'Iva, che colpisce soprattutto i redditi più bassi, cioè le famiglie con una più elevata propensione al consumo.

Tra gli effetti provocati dall'aumento dell'imposta la Corte dei conti si sofferma sull'incremento dell'inflazione, che a sua volta provocherebbe una perdita di reddito disponibile reale, ossia di ''potere d’acquisto delle famiglie, il canale attraverso cui si trasmettono impulsi recessivi all’economia''. Alla riduzione 'fiscale' del potere d’acquisto ''corrisponde un ridimensionamento della dinamica dei consumi delle famiglie, con una perdita cumulata nel biennio pari a un punto percentuale''. L’impatto recessivo sul Pil, secondo le stime degli istituti, sarebbe di minori dimensioni, dal momento che parte dei minori consumi si trasferisce sulle importazioni, ossia su una componente negativa della domanda aggregata. Il prodotto nazionale perde, rispetto alla simulazione baseline, 0,6 punti.

Per la magistratura contabile il grado di protezione dei salari, rispetto all’aumento dell’inflazione 'fiscale', ''è un elemento di incertezza all’interno della simulazione''. Tuttavia, considerata la fase di elevata disoccupazione e di aumentata flessibilità del mercato del lavoro, si ritiene ''improbabile una completa copertura dei salari attraverso i meccanismi di indicizzazione''. E comunque il recupero dell'inflazione nei salari comporterebbe un aumento del costo del lavoro e una riduzione del livello di occupazione, ''determinato non solo dalla minore domanda ma anche dalla modificazione dei prezzi relativi dei fattori''.

Gli effetti collaterali delle nuove aliquote potrebbero interessare anche l'obiettivo finale, di mantenimento in equilibrio dei conti pubblici. L’impatto negativo sul Pil, infatti, ''limita l’effetto correttivo''.

Le elaborazioni dimostrano come circa il quindici per cento dell’intervento sulle imposte indirette mancherebbe di riflettersi sul saldo di bilancio.

Nel complesso, l’esercizio svolto dai tre istituti, osserva la Corte dei conti, ''evidenzia alcuni elementi di cui tener conto nella discussione di politica economica relativa all’applicazione della clausola di salvaguardia''.

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