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Bagnoli: tra inchieste e sequestri bonifica attesa da oltre 20 anni/Adnkronos

24 settembre 2015 | 12.23
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(Infophoto)
(Infophoto)

Una questione irrisolta che nasce da lontano: dal 1992, anno della chiusura dell'impianto Italsider, passando per l'inserimento nell'elenco dei siti di interesse nazionale da bonificare nel 1998. In oltre vent'anni, tra inchieste giudiziarie e sequestri, giunte comunali e regionali sono passate senza riuscire nel recupero dell'ex area industriale di Bagnoli, quartiere della periferia ovest di Napoli. Da oggi Salvatore Nastasi è il commissario straordinario per l'area Bagnoli-Coroglio, al quale, come previsto dallo "Sblocca Italia", sono attribuiti compiti di "coordinamento degli interventi infrastrutturali d'interesse statale con quelli privati da effettuare nell'area di rilevante interesse nazionale" finalizzati alla bonifica ambientale e alla rigenerazione urbana.

Un'area che parte dalle falde della collina di Posillipo e raggiunge il vecchio centro abitato del quartiere più 'operaio' della città, e che da oltre vent'anni ospita lo scheletro di quello che fu uno dei più vasti stabilimenti metallurgici del Sud Italia. Il tutto affacciato sullo specchio d'acqua occupato da una 'colmata', per la quale si e' decisa da tempo la rimozione. Bagnoli attende la bonifica da oltre 20 anni, da quando la fabbrica dell'Italsider e' stata dismessa. Da quel momento e per decenni, l'intera area e' stata oggetto di ambiziosi progetti di recupero.

L’area occidentale della città di Napoli, tra il golfo di Pozzuoli ed i rilievi di Soccavo e Astroni, individuata come sito di interesse nazionale (Sin) con la Legge 388/2000, si estende per 945 ettari a terra e oltre 1.600 ettari a mare. Un'area, come sottolineato nell'ultimo dossier di Legambiente sulle bonifiche dei siti inquinati, di enorme pregio dal punto di vista paesaggistico e ambientale, e che comprende principalmente quattro distinte zone: aree industriali (ex Ilva, ex Eternit, Città della Scienza, ex Cementir e la colmata a mare dell’Italsider), aree a mare (spiagge e fondali marini), basi militari (caserma C. Battisti, arsenale militare, ex collegio Ciano, sede Nato) e la Conca di Agnano. A queste zone si deve aggiungere anche la ex discarica Italsider ed altre piccole aziende le cui proprietà ricadono all’interno del perimetro del sito.

L’ex area industriale di Bagnoli-Coroglio e lo specchio di mare prospiciente è stata oggetto delle attenzioni di diversi progetti di bonifica per i suoli, per le acque sotterranee, per i sedimenti marini, la cassa di colmata e gli arenili già a partire dal 1996 (ovvero prima dell’inserimento del sito tra quelli di interesse nazionale, che risale al 2000), ed ognuno di tali progetti ha uno stato di avanzamento ed un soggetto attuatore che varia di caso in caso. Con la costituzione della Società Bagnoli Spa tra il 1997 ed il 1999 sono state eseguite delle campagne di caratterizzazione dalle quali è stato possibile determinare il grado di contaminazione dei terreni di riporto, dei suoli e della falda.

A marzo 2013, secondo i dati forniti dal ministero dell’Ambiente, lo stato di avanzamento delle caratterizzazioni e dei risultati relativi è rispettivamente del 29% e 27% rispetto all’estensione delle aree a terra, mentre i progetti di bonifica (presentati ed approvati) hanno raggiunto mediamente il 24% delle aree inserite nel Sin. La messa in sicurezza di emergenza è pari invece a circa il 22% delle aree. Nel 2001 le aree del sito sono state acquisite dalla Bagnolifutura SpA, una società di trasformazione urbana costituita dal Comune di Napoli, dalla Provincia di Napoli e dalla Regione Campania.

Nel 2003 viene approvato il progetto di bonifica per le aree a terra, da parte del Ministero dell’ambiente, delle aree di proprietà di Bagnolifutura SpA: tale progetto prevedeva principalmente la decontaminazione dei suoli e dei riporti dagli idrocarburi e dai metalli pesanti presenti, la rimozione dell’amianto ancora presente nelle aree ex Eternit, la decontaminazione della falda ed infine la copertura pedologica del suolo delle aree bonificate.

Nel 2006, a seguito delle varianti di destinazione d’uso delle aree da parte del piano urbanistico del comune di Napoli, si è formulata una prima variate al progetto di bonifica. Il progetto di bonifica per i suoli, ricorda Legambiente nel dossier, prevedeva due fasi: la prima era costituita da una vagliatura dei terreni contaminati (determinata dai risultati delle caratterizzazioni eseguite in precedenza) e successivo trattamento mediante soil washing delle frazioni più grossolane. Successivamente al trattamento, le porzioni di terreno risultate idonee alla destinazione d’uso prevista venivano riutilizzate per la ricostruzione pedologica delle aree, mentre le frazioni ancora inquinate sarebbero dovute andare in discariche idonee.

Il progetto di bonifica per le acque di falda invece prevedeva una barriera idraulica interposta tra le aree a terra e le aree a mare (per interrompere il flusso migratorio degli inquinanti dall’entroterra verso mare attraverso la falda): nel novembre 2006 il Ministero dell’ambiente aveva indicato un confinamento fisico mediante l’utilizzo di un diaframma plastico come metodologia da applicare, mentre Bagnolifutura SpA nel 2011, in sede di conferenza di servizi, aveva proposto come soluzione alternativa una barriera idraulica costituita da una serie di pozzi di emungimento.

Il Ministero dell’ambiente aveva a sua volta richiesto una serie di integrazioni a tale variante ma si era espresso in maniera favorevole all’eventuale modifica. Nel 2011 la conferenza di servizi decisoria ha approvato (con prescrizioni) la quinta variate al progetto anche per quanto riguarda altri aspetti del sito di Bagnoli come: il mantenimento delle strutture di archeologia industriale, le modalità operative riguardanti le operazioni di bonifica dell’area ex cokeria, il monitoraggio dello stato di contaminazione delle acque di falda e la realizzazione di una bonifica per lotti dell’area ex Eternit.

Tra le grandi questioni rimaste irrisolte la bonifica legata alla colmata di Bagnoli: questa zona, si legge nel dossier di Legambiente, che si estende dal pontile a nord a quello a sud del centro siderurgico presente sul sito, è stata realizzata mediante l’utilizzo dei rifiuti delle attività industriali precedentemente in attività (come le loppe d’altoforno e le scorie dell’ex Ilva ed ex Cementir), per un totale di oltre 200mila metri quadrati di litorale e spiaggia originale. In questa zona critica di colmata è stato fatto un intervento di messa in sicurezza d’emergenza costituito da una impermeabilizzazione superficiale dell’area ed una barriera idraulica di emungimento. Questo intervento provvisorio è diventato di fatto definitivo ma, sottolinea Legambiente, non sufficiente.

La cosa più grave, prosegue il dossier, è che non essendo stato ancora eseguito nessun intervento definitivo sulla colmata (ovvero la rimozione dei sedimenti contaminati), questa risulta essere ancora una sorgente attiva di inquinamento per gli arenili, per i sedimenti e per le acque di falda. L’Accordo di Programma Quadro del 21 dicembre 2007 tra Bagnoli e Piombino, volto a superare anche questa criticità legata all’area della colmata, prevedeva che parte dei sedimenti non pericolosi rimossi dal fondale marino e dalla colmata a mare sarebbero dovuti essere conferiti in una vasca nella città toscana.

Le aree di proprietà Bagnolifutura SpA di cui risulta essere stato emesso il certificato di avvenuta bonifica da parte della Provincia di Napoli sono: - Area Porta del Parco – quota parte di celle appartenenti al lotto Agl3 - Area Parco dello Sport – Primo Lotto - Area tematica 2° strutture turistiche - Area Parco dello Sport – Aree residenziali I lotto e aree residenziali e commerciali II lotto - Area destinata a Parco Urbano – primo lotto funzionale - Area Parcheggio Idis.

Quanto alla bonifica dell’amianto all’interno del Sin di Bagnoli, dei 200 ettari costituenti le aree industriali ex Ilva e ex Eternit, circa 20 sono quelli in cui si è maggiormente concentrata la presenza di amianto nel tempo. Nel 1996 la Società Bagnoli Spa si occupò del piano di recupero dell’area industriale, compreso lo smantellamento delle strutture ex Eternit, anche in virtù della Legge 582/96 che riguardava nel dettaglio la situazione di Bagnoli. Nel 2001 la proprietà delle aree ex Ilva ed ex Eternit passò in mano al Comune di Napoli e solo nel 2003 venne approvato il progetto di bonifica e cominciarono gli interventi di smantellamento e rimozione.

L’area complessiva è composta da 16 ettari, dove si sono sviluppati gli stabilimenti dell’Eternit, e dai restanti 4 ettari, di proprietà dell’Italsider, presso cui venivano prodotti materiali in cemento-amianto. Le caratterizzazioni effettuate sul territorio, spiega Legambiente, hanno evidenziato un’elevata contaminazione per alcuni metri sotto il piano campagna e tra il 2006 e il 2008 la Bagnolifutura Spa ha completato la bonifica dell’area Italsider: le lavorazioni hanno permesso la separazione dei materiali dai terreni non inquinati per evitare il peggioramento della situazione ambientale, arrivando a rimuovere circa 15.000 tonnellate (che si aggiungono alle oltre 2.000 t rimosse nel periodo 2001/2002).

Per l’altra area di 16 ettari lo smantellamento degli stabilimenti e la rimozione dei materiali contenenti amianto è terminata nel 2000, mentre la bonifica dei terreni è cominciata per opera della Bagnolifutura Spa a partire dal 2005: la stessa società riporta uno stato di avanzamento “delle attività di bonifica del 65% dell’intervento complessivo nelle area” a settembre 2012. Le procedure e le pratiche amministrative che hanno riguardato la gestione della bonifica del Sin, quindi del riutilizzo della stessa area industriale di Bagnoli, hanno destato sospetti tanto da essere oggetto di indagine da parte della Procura della Repubblica di Napoli e conseguentemente anche della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (XVI legislatura - Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati, dicembre 2012).

Nel corso degli anni ci sono state ben 5 varianti al progetto di bonifica ma, sottolinea Legambiente nel dossier, i vari iter amministrativi e le modifiche in corso adottate non hanno prodotto nessun miglioramento concreto, anzi, “il risultato ottenuto è, di fatto, inconsistente rispetto alle emergenze ambientali in atto”, come riportato dalla stessa Commissione parlamentare di inchiesta, la quale ritiene che se anche al 2012 la bonifica certificata dalla Provincia di Napoli risultava pari a 810 ha sugli oltre novecento perimetrati del sito, “le certificazione rilasciate dalla provincia sono oggetto di contestazione in sede tecnica e giudiziaria”.

Sempre dalla Commissione , ricorda Legambiente, emerge che fino al 2008 l’Arpa Campania non ha eseguito i controlli sulle analisi di caratterizzazione svolte nel Sin, e quindi “non vi è stato alcun controllo sull’accertamento della contaminazione e sulla definizione degli obiettivi di intervento rispetto ai quali vengono collaudati i lavori”.

Il fatto che le linee guida relativamente alla certificazione della bonifica fossero state redatte dalla stessa società cui spettava completare la stessa e che gli organi di controllo e gli organi certificatori fossero parte in causa alla stessa Bagnolifutura Spa, sottolinea Legambiente, ha destato enormi sospetti sia da un punto di vista amministrativo sia giudiziario.

"La notizia del sequestro delle aree bonificate 'ex Eternit' ed 'ex Italsider', emersa nei primi giorni di aprile 2013, era ampiamente prevedibile visto il paradossale caso creatosi sul sito di Bagnoli - sottolinea Legambiente - I proprietari dell’area che dovevano eseguire la bonifica (Bagnolifutura SpA, società composta da Comune, Provincia e Regione), sono di fatto gli stessi soggetti pubblici che dovevano fare da controllori e garanti della correttezza delle operazioni svolte; questo ha portato la Procura della Repubblica a dubitare della veridicità dei dati forniti nel corso degli anni e ad aprire un’indagine per stabilire se i progetti, i certificati di bonifica emessi ed i controlli effettuati, siano stati in qualche modo manipolati e falsati per restituire l’area agli usi previsti in maniera più celere ma senza la realizzazione di una vera bonifica".

Ad oggi le aree “bonificate” poste sotto sequestro hanno portato 21 persone ad essere indagate dalla magistratura, tra le quali anche funzionari pubblici, mentre, secondo quanto accertato dalle indagini svolte dalla Procura di Napoli, i lavori eseguiti hanno portato ad un peggioramento delle condizioni ambientali nelle aree che risultavano “certificate”, "come se la situazione prima - conclude Legambiente - non fosse già grave di suo".

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