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Cassazione

Calcolo errato della pensione? L'Inps deve risarcire

09 ottobre 2017 | 15.51
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(Fotogramma)
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Pensava di potersi finalmente godere la pensione. E invece un calcolo sbagliato dell'Inps non solo gli ha impedito di andarci, ma lo ha anche costretto - dopo essersi visto rifiutare la domanda dall'ente e ormai senza più un lavoro - al versamento della contribuzione volontaria per raggiungere il requisito dei 35 anni di anzianità. Tutto perché lo stesso ente previdenziale aveva fatto male i conti. Ora, a 16 anni di distanza e attraverso la sentenza della Corte di Cassazione n°23050/2017, il panettiere Franco ha finalmente avuto giustizia e sarà risarcito dall'Inps.

Ma cosa dice la sentenza? Franco, messo in mobilità il 30 settembre 1999 proprio in virtù del presupposto determinato dall'erronea indicazione dell'Inps - e cioè che gli fosse sufficiente un periodo di 18 mesi per la maturazione del requisito di 35 anni di contribuzione per la pensione di anzianità - aveva sottoscritto un atto transattivo con rinuncia ad impugnare il licenziamento. Nel febbraio 2001, quindi, aveva inoltrato la richiesta per poter finalmente andare in pensione. La richiesta era stata tuttavia respinta dall'ente: il periodo di mobilità svolto, sosteneva l'Inps che ammetteva il calcolo sbagliato della posizione contributiva, non era infatti sufficiente per conseguire il diritto alla pensione.

Una doccia fredda per il lavoratore, che si era visto respingere anche la richiesta di prolungamento della mobilità per arrivare al giusto numero di contributi. Per poter sanare la situazione, Franco aveva quindi dovuto sborsare 8.954,38 di tasca propria, tanto l'ammontare del contributo volontario per la copertura assicurativa necessaria al raggiungimento dei fatidici 35 anni di anzianità. Dopo aver fatto causa per due volte, e per due volte essersi vista respinta la richiesta di risarcimento, la Cassazione ha invece accolto la richiesta del lavoratore.

L'Inps è stata infatti riconosciuta responsabile dell'errore costato caro al panettiere, e dovrà quindi pagare: "[...] In tema di erronea comunicazione al lavoratore, da parte dell'Inps, della posizione contributiva utile al pensionamento - si legge nella sentenza -, l'ente risponde del danno derivatone per inadempimento contrattuale, salvo che provi che la causa dell'errore sia esterna alla sua sfera di controllo e l'inevitabilità del fatto impeditivo".

"Il principio di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost., comma 1 - spiega quindi la Corte Suprema nel passo fondamentale della sentenza -, impone la veridicità degli atti e provvedimenti delle pubbliche amministrazioni, i quali giammai possono essere considerati come asserzioni su cui la prudenza richieda di non fare assegnamento".

"A ciò aggiungasi - si legge ancora nella sentenza - che sempre questa Corte ha più recentemente affermato che nell'ipotesi in cui un ente previdenziale, avente personalità giuridica di diritto privato, comunichi ad un proprio assicurato un'informazione erronea in ordine all'avvenuta maturazione del requisito contributivo occorrente per poter fruire della pensione di vecchiaia[...], merita nondimeno tutela, ai sensi dell'art. 1175 cod. civ., l'affidamento dell'assicurato, essendo altresì gli organi degli enti previdenziali privati, per l'attività di amministrazione e di gestione svolta, in possesso di dati e di conoscenze, che comportano la titolarità di poteri e di connessi doveri, anche di comunicazione, da esercitare con diligenza".

"Ne consegue - si legge quindi nelle conclusioni - che grava sull'ente previdenziale l'obbligo di risarcire il danno derivato dall'erronea comunicazione e dalla conseguente decisione dell'assicurato di cancellarsi dall'albo professionale. Il principio vale, a maggior ragione, per l'Inps".

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