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Pmi, dopo balzo spread rischio credit crunch selettivo

21 settembre 2018 | 16.13
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Le imprese italiane nei prossimi mesi rischiano di dover affrontare un credit crunch selettivo, una stretta del credito circoscritta alle piccole imprese attive nei settori già colpiti dall'ultima crisi economica. Con lo spread volato nei mesi scorsi a quota 300 punti, le imprese si stanno preparando a subire un aumento dei costi di finanziamento. Ma, oltre a un inasprimento delle condizioni dei prestiti, molte aziende rischiano di vedersi chiudere i rubinetti del credito bancario. Con difficoltà a effettuare investimenti e assumere personale e con effetti recessivi sull'intera economia italiana. A rischiare di più sono in particolare le pmi dei settori delle costruzioni e dell'immobiliare, del commercio al dettaglio, dei servizi, dei trasporti e della logistica.

La recente fiammata dello spread Btp-Bund, impennatosi a fine maggio oltre quota 300 punti e rimasto stabilmente sopra i 200, è una parte del problema. Le banche nei prossimi mesi dovranno spalmare sulle imprese i maggiori oneri registrati, inasprendo le condizioni del credito alle imprese. Ma, complici regole più rigide di patrimonializzazione, gli istituti italiani selezioneranno con cura le imprese a cui destinare gli impieghi, evitando le aziende più deboli e i settori più a rischio. Con il pericolo di innescare una stretta del credito selettiva. "E' come se si chiudesse una fessura, che si stringe sempre di più e lascia fuori i più piccoli", spiega Francesca Fraulo, direttrice generale Corporate ratings di Crif Ratings, intervistata dall'Adnkronos.

A causa dell'effetto spread nel 2011, secondo uno studio di Crif, le imprese italiane hanno dovuto sostenere complessivamente circa 15 miliardi di euro di oneri finanziari in più rispetto all’anno precedente. Oneri che hanno determinato una riduzione dei margini operativi lordi e una conseguente contrazione degli utili. Se è ancora difficile quantificare quanto le imprese pagheranno l'impennata dello spread della scorsa estate, sicuramente "le banche cercheranno di spalmarla con maggiori commissioni da un lato e ritoccando i tassi di interesse", sottolinea Fraulo.

Ma il vero problema, avverte la direttrice generale Corporate ratings di Crif Ratings, "sarà l'accessibilità al credito. Si chiuderà sempre di più la forchetta e verranno beneficiate quelle imprese con una qualità del credito superiore", una misura che consente alle banche di "non intaccare ulteriormente la necessità di accantonare patrimonio rispetto agli attivi". Il problema quindi non sarà il maggior costo dei finanziamenti bancari, "ma il minor accesso da parte di quelle piccole e medie imprese, quelle che poi fanno la differenza in Italia, che non potranno più ampliare la leva dei finanziamenti", sottolinea.

L'Italia rispetto al 2011 è finanziariamente più stabile e molte banche hanno effettuato aumenti di capitale, ma gli effetti di un allargamento dello spread rispetto ai Bund tedeschi "rimangono pressoché invariati, visto che l'ammontare del debito pubblico è rimasto lo stesso", e visto che le banche, sempre al centro del finanziamento delle imprese e delle famiglie, "rimangono fortemente esposte e vulnerabili alla volatilità dello spread".

Fra le imprese più a rischio Fraulo indica "quelle che hanno sofferto di più durante la crisi: quelle delle costruzioni e dell'edilizia. Queste imprese probabilmente saranno le prime a non riprendersi come era auspicabile". Ma a soffrire potrebbero essere anche le pmi attive nel commercio al dettaglio, nei servizi, nei trasporti e nella logistica. Un problema, invece, che non vivranno le grandi imprese, che dovranno solamente affrontare un aumento dei prezzi in caso di emissioni obbligazionarie o di finanziamenti in pool da parte degli istituti di credito. "Il problema è per chi l'affidamento in banca lo vede sparire o cancellare", conclude Fraulo.

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