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La svolta di Versace, l'esperto: "Non è fuggi fuggi"

24 settembre 2018 | 18.14
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(Fotogramma/Ipa)
(Fotogramma/Ipa)

"Normale mobilità del capitalismo nei sistemi evoluti". Guido Corbetta, professore ed esperto di Strategie delle aziende familiari, non ci sta a vedere nella cessione di Versace agli americani di Michael Kors un segno della decadenza del Made in Italy, minacciato da più grandi e globalizzati brand stranieri. "Non lo vedo come un fuggi fuggi, né come un segnale di difficoltà o sostenibilità strategica per le nostre aziende: ce ne sono altre impegnate in operazioni di crescita per acquisizioni", fa notare il docente dell'Università Bocconi. L'esempio è quello di Ermenegildo Zegna, sbarcato negli Usa pochi giorni fa con l'acquisizione di Thom Browne. "Il tema - dice all'Adnkronos - non è di resistenza dell'azienda sul mercato. Sono dinamiche a livello della proprietà che creano queste decisioni".

Certo è che quella fondata da Gianni Versace sarà, dopo Krizia, Valentino, Gucci, Gianfranco Ferrè, per citarne alcune, un'altra storica maison che passa agli stranieri. In Italia, però, il saldo tra le aziende familiari che vendono la maggioranza e quelle che restano saldamente in mano ai 'patron' pende a favore dei secondi, anche nel lusso. Il 'family business' lungo lo Stivale rappresenta circa l'85% del totale, tra imprese grandi e piccole, ed è il 60% del mercato azionario, in linea con il resto d'Europa. Nel sistema moda, le imprese familiari sono ancora di più e rappresentano il 78% su un totale di circa 645 aziende. La famiglia Missoni, ad esempio, ha fatto una scelta diversa: continuerà a mantenere il controllo dell'azienda ma ha raggiunto un accordo con l'italianissimo Fondo Strategico per crescere.

Nel caso di Versace, c'è una storia con un grande dolore e un grande lutto alle spalle. Il gruppo ha perso il suo fondatore carismatico più di venti anni fa, ma la famiglia è stata in grado di reagire, facendo crescere, pur nelle difficoltà, il valore del marchio. "C'è stato, in questo caso, un sovraccarico di responsabilità su una persona giovane. Sono sicuro che questi siano elementi che contano, come i timori per il futuro". E' inevitabile, secondo Corbetta, che si "arrivi a un momento in cui una famiglia può valutare come scelta più oculata quella di diversificare il patrimonio". Poi, ci sono le offerte. "A un certo punto, può arrivare un'offerta interessante". Oppure, sempre nel caso di Versace, la presenza di un private equity al 20% come Blackstone che deve uscire dall'investimento può indurre a velocizzare questa transizione.

L'importante, piuttosto, è che ora Versace mantenga la "sua base" in Italia. In generale, le aziende familiari in Italia godono di buona salute. Nella moda, ad esempio, secondo le ricerche dell'Osservatorio Aub dell'Università Bocconi, le aziende familiari hanno una lunga tradizione alle spalle e in almeno il 10 per cento dei casi hanno una storia ultra cinquantennale. La leadership familiare appare premiante in gran parte delle aziende della moda, e solo tre su dieci affidano le redini del gruppo a una leadership esterna. Nel caso di Versace, la managerialità extra-familiare (l'ad è Jonathan Akeroyd) convive, dal 2016, con un cda dove gli azionisti fondatori, i fratelli di Gianni, Santo e Donatella con la figlia Allegra, sono molto forti.

Di solito, i problemi arrivano nelle aziende familiari di terza generazione. "In questo caso, facciamo più fatica a governare la proprietà. In Italia, a differenza della Germania, non c'è una distinzione chiara tra la proprietà e chi gestisce l'azienda". E la situazione peggiora se dai fratelli si passa a prendere decisioni tra cugini. Una soluzione, però esiste: "Gli amministratori esterni sono utili. Abbiamo visto - precisa Corbetta - che se la governance aziendale prevede nel cda membri non familiari, questo riduce il rischio della deriva negativa da terza generazione e arriva a definire regole più chiare nel rapporto tra parenti".

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