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Irpef, 1 italiano su 2 non paga (e non è un evasore)

06 marzo 2019 | 15.12
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Le tasse in Italia sono troppo alte? Non per tutti, considerando che un italiano su due versa allo Stato una somma che non basta neppure a coprire la propria spesa sanitaria. I dati che emergono dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2017 sono chiari: a farsi carico del peso dell’Irpef sono in pochi, e nel complesso sono soprattutto i contribuenti che appartengono al cosiddetto ceto medio. Il tema della pressione fiscale è da sempre al centro dell’attenzione e lo è più che mai ora che si inizia parlare della riforma Irpef e della flat tax che il Governo Lega-M5S vorrebbe estendere alle famiglie con redditi bassi già a partire dal 2020. Partire dall’analisi dei dati è tuttavia fondamentale per capire quali sono le reali necessità del Paese e su quali sono gli aspetti sui quali il Governo dovrebbe puntare l’attenzione.

Come evidenziato dai dati pubblicati da Money.it, elaborati sulla base dell’indagine conoscitiva del Centro Studi Itinerari Previdenziali, se il pregio dell’Irpef è quello di essere l’imposta progressiva per eccellenza, figlia del principio della capacità contributiva previsto dall’articolo 53 della Costituzione, il difetto è quello di essere eccessivamente penalizzante per la fascia media della popolazione. Sul totale del gettito Irpef, pari a 163,377 miliardi di euro, il 44,92% degli italiani ha contribuito soltanto per il 2,82%: si tratta dei contribuenti in no tax area e di quelli che rientrano nel primo scaglione Irpef, ovvero con redditi non superiori a 15.000 euro. Più del 40% del totale dell’imposta arriva dal 42,99% di contribuenti con redditi annui lordi compresi tra i 15.000 ed i 35.000 euro, mentre il 10% degli italiani che guadagna fino a 100.000 euro contribuisce per il 38%. Un sistema fiscale che è (giustamente) amico dei più deboli ma che, al contrario, diventa acerrimo nemico di chi consegue redditi di importo modesto e tutt’altro che da “benestante”. Prendiamo come esempio i lavoratori dipendenti. Basta superare i 26.600 euro lordi all’anno per perdere, ad esempio, il bonus Renzi, il credito Irpef erogato in busta paga con la finalità di ridurre l’importo dell’imposta sul reddito.

Allo stesso modo, all’aumentare delle entrate economiche vengono progressivamente meno molte agevolazioni, come le detrazioni per lavoro dipendente, che si annullano totalmente una volta raggiunti i 55.000 euro di reddito. L’effetto che si genera è non solo quello di un impoverimento della classe media, ma anche di un disincentivo al lavoro e al maggior guadagno, considerando che con l’incremento di reddito (soprattutto per chi passa dai 15.000 euro ai 20.000 euro in su) aumenta a dismisura anche l’importo dell’Irpef dovuta, annullando di fatto lo sforzo fatto. Una criticità ed un'evidente stortura del sistema già sottolineata in merito al regime forfettario per le partite IVA. Il problema non è solo individuale ma ha risvolti per l’intera popolazione: il sistema di welfare italiano è finanziato anche grazie al gettito Irpef che, da solo, riesce a coprire soltanto una piccola parte della spesa complessiva. Un sistema sociale generoso per il quale tuttavia quasi la metà della popolazione contribuisce in misura insufficiente, tenuto conto che la media pro-capite per la copertura della sola spesa sanitaria è pari a circa 1.700 euro.

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