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Tempi duri per Facebook? Solo in apparenza

15 luglio 2020 | 19.19
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Foto AFP
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Stop alle manifestazioni di razzismo e alle discriminazioni. E se a dirlo sono multinazionali del calibro di Coca Cola, possono essere guai seri anche per le grandi piattaforme social. Ne sa qualcosa Facebook, 'scaricato' da alcuni tra i suoi più grandi inserzionisti con l'accusa di non fare abbastanza per contrastare il fenomeno dell''hate speech' (espressioni di odio e incitamento all'odio di tipo razzista tramite discorsi, slogan e insulti violenti).

La polemica è sulla scia di una querelle che prosegue da oltre un mese e che riguarda la posizione di pseudo neutralità assunta da Mr Zuckerberg, patron del popolare social network, a seguito di alcune affermazioni del presidente Donald Trump che altri social hanno etichettato come fake news. Così, sotto la spinta dell’opinione pubblica, oltre cinquecento grandi marchi (l'elenco comprende, oltre a Coca Cola, Adidas, Unilever, HP, Patagonia, Honda e Microsoft) hanno aderito alla campagna 'Stop Hate For Profit', lanciata da Anti-Defamation League e NAACP, due organizzazioni capo fila di una vasta rete di associazioni e gruppi antirazzisti e per la difesa dei diritti civili, in risposta al tipo di comunicazione violenta che viene permesso sui social. Il risultato è stato l’annuncio della sospensione della pubblicità su Facebook e Instagram per un mese.

Ma quanto è grave il danno subito da Facebook con il boicottaggio dei suoi grandi inserzionisti? In molti dubitano che la mossa assesterà un colpo veramente duro alle tasche del multimiliardario Zuckerberg. "Nel 2019 Facebook ha raccolto in advertising circa 70 miliardi di dollari, cioè il 98% delle sue entrate annuali. Gli inserzionisti totali sono circa 8 milioni ma cento grandi marchi hanno investito 4,2 miliardi, ossia il 6% del totale. Di questi, il gruppo di aziende che ha aderito al boicottaggio, secondo i dati riportati dal World Advertising Research Center, costituisce meno dell’1% delle entrate pubblicitarie del social”, spiega Aldo Agostinelli**, Digital Officer di Sky Italia e Vice Presidente dell’Interactive Advertising Bureau Italia.

Quindi Stop Hate for Profit è un’iniziativa che non avrà successo?

“A livello di immagine sì, ha sicuramente inferto una ferita. Le aziende internazionali che hanno svolto quest'azione sono da premiare e supportare perché hanno fatto molto di più dei vari legislatori mondiali, che continuano a lasciare non regolamentato questo settore. Ricordiamoci, però, che Facebook non soccombette neppure di fronte allo scandalo di Cambridge Analytica e neppure ora, che il social è stato ripescato con le mani nel sacco, a diffondere i dati personali degli utenti inattivi da oltre 90 giorni a più di 5.000 sviluppatori che non avrebbero dovuto riceverli, è accaduto nulla o quasi”

Le grandi aziende per quanto tempo riusciranno a mantenere il punto?

“Finché il ROI dell'investimento pubblicitario sarà accettabile, le grandi aziende rimarranno sicuramente fuori da questa arena ma nel momento che non avranno trovato soluzioni media equilibrate, saranno costrette a reinvestire su questi canali, giusto il tempo che la situazione si plachi”

Recentemente Zuckerberg ha anche ribadito la sua volontà di non modificare in alcun modo le policy dei suoi social

“Il Freedom of speech o libertà di parola è la classica scusa con cui si difendono gli OTT, ossia la libertà con cui le persone possono esprimere e generare i contenuti; il media è certamente cambiato dal classico mainstream, ma questo non significa che le aziende all'interno di questa industry debbano essere regolate in diverso modo. Negli stessi Stati Uniti, media company come il Time o il NYT sono soggette a regole che non vengono applicate per questi giganti, eppure i loro 'ricavi' non sono diversi dai ricavi che un classico media ha sempre ricevuto, ossia la pubblicità. Se prima si comprava una pagina di giornale ed oggi invece un post sponsorizzato, sempre di advertising si tratta. Le regole quindi devono essere le stesse tra tutti gli operatori, gli OTT non fanno eccezione. Zuckerberg mantiene il punto perché è tranquillo ma cambierebbe idea all’istante di fronte ad altre condizioni.”.

Quali per esempio?

“Per avere successo, un'azione di boicottaggio dovrebbe coinvolgere attivamente la miriade di piccoli investitori che compongono la galassia delle entrate adv del social. La vera base delle entrate di Facebook. Se loro sospendessero gli investimenti in adv, tutti insieme o in maggioranza, allora la faccenda assumerebbe tutt’altri connotati, e si farebbe molto, molto interessante”.

L’azione di boicottaggio da parte dei grandi marchi è anche un tentativo per dare una spallata al duopolio dell’advertising Google-Facebook?

“Da tempo le aziende sono insofferenti per quanto riguarda il dominio di Google e Facebook sulla pubblicità. Ma la situazione è in evoluzione. Prima di tutto ora non si parla più di duopolio ma di tripolio, perché si è aggiunto un terzo attore, Amazon, che è ormai a tutti gli effetti un motore di ricerca prodotto al quale gli utenti si affidano anche più che a Google. In secondo luogo, per la prima volta in dieci anni, le previsioni indicano che Google diminuirà le entrate pubblicitarie, nonostante un mercato del digital adv”.

Boicottaggi a parte, quale potrebbe essere un’azione incisiva per risolvere il problema dei discorsi e della propaganda d’odio sui social?

“Colpire i portafogli di chi propaga notizie false e idee discriminatorie. Tu utente pubblichi contenuti offensivi o falsi e io social ti taglio tutta la pubblicità da cui derivano i tuoi introiti. Google e YouTube già lo fanno. È efficace. La maggior parte di quelli che seminano bufale lo fanno per avere clic, visualizzazioni e guadagnare. Se non guadagnano, non hanno scopo, si spengono da soli. Nel caso di Facebook, però, il social dovrebbe prima iniziare a compartecipare i guadagni in adv con i suoi utenti, publisher ecc, e includerli nel “circolo del valore”. E al momento non sembra proprio intenzionato a farlo”.

**Aldo Agostinelli è profondo conoscitore ed esperto di innovazione, marketing e digitale. Dopo aver ricoperto importanti ruoli manageriali in azienda nazionali ed internazionali, ha maturato una significativa esperienza professionale a San Francisco in qualità di Digital Marketing Director di HP; è stato professore associato alla University of San Francisco. E’ Digital Officer di Sky Italia e Vice Presidente dell’Interactive Advertising Bureau Italia. Nel 2018 ha pubblicato per Mondadori 'People are Media'.

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