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Biagi: 12 anni fa morte professore che voleva Italia del lavoro in Europa

18 marzo 2014 | 14.17
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Biagi: 12 anni fa morte professore che voleva Italia del lavoro in Europa

Roma, 17 mar. (Labitalia) - Erano passate da poco le 20,30 quando, a Bologna, il 19 marzo del 2002, una manciata di proiettili colpiva il professor Marco Biagi che stava rientrando in bicicletta a casa sua. Finiva così prematuramente (aveva 52 anni) una vita e tutto quello straordinario impegno di studio e di ricerca che Marco Biagi, docente universitario a Modena, aveva dedicato a uno dei temi più spinosi per il nostro Paese: il lavoro. Voleva, Biagi, un mercato del lavoro più moderno, più inclusivo, voleva dare più spazio ai giovani e alle donne, ai gruppi che ne rimangono esclusi.

E soprattutto voleva un mercato europeo: una caratteristica fondamentale, anzi il filo conduttore principale dell'opera di Marco Biagi, è stato infatti l'impegno nella comparazione e l'attenzione interdisciplinare coltivata con cultori di esperienze diverse. Perchè al centro del mercato del lavoro, per Biagi, c'erano innanzitutto, le esigenze dell'impresa e il valore della persona.

A partire dagli anni Novanta, Biagi, che è stato docente di diritto del lavoro in diverse università italiane, iniziò a collaborare con le istituzioni politiche, prima la Commissione europea, poi il governo. Fu consulente di diversi esecutivi, a prescindere dal colore politico: collaborò con i ministri del Lavoro Tiziano Treu, Antonio Bassolino e Roberto Maroni. Nel 2001, mentre con il governo Berlusconi era impegnato a elaborare una bozza di riforma del mercato del lavoro ('Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità'), Biagi fu chiamato da Romano Prodi a occuparsi del futuro delle relazioni industriali, in un gruppo di studio istituito dalla Commissione europea.

Per la sua grande esperienza maturata sul campo del diritto del lavoro comparato, Biagi era molto conosciuto anche in Cina e in Giappone. La sua idea fissa era il 'benchmarking', una metodologia di studio basata sulla comparazione anche internazionale, nata in un contesto strettamente industriale, come metodo per migliorare la competitività delle imprese. Biagi, in maniera pionieristica, applicò l'esercizio del 'benchmarking', a 360 gradi, cominciando ad estenderlo anche alle politiche del lavoro in Europa e in Italia.

Nel 1991 Biagi fondò, presso il Dipartimento di Economia aziendale dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, il Centro studi internazionali e comparati, inaugurando un modello innovativo di ricerca nel campo del lavoro e delle relazioni industriali. E' presso il Centro che nel 2000 comincia a stabilizzarsi il suo gruppo di giovani ricercatori e collaboratori, tra cui emerge Michele Tiraboschi. Da quell'esperienza e da quell'intuizione di Biagi, di un modo nuovo di "fare università", nascerà nel 2000 anche Adapt, un'associazione senza fini di lucro, che oggi è diventata un sofisticato network fatto di dottori di ricerca (gli Alumni di Adapt), 3 scuole di dottorato (Bergamo, Bari e Modena), 4 sedi (Modena, Roma, Bergamo, Bari), 40 tra ricercatori, e collaboratori, e circa 25.000 persone iscritte ai bollettini che vengono pubblicati in italiano, inglese e spagnolo.

Come a Massimo D'Antona, anch'esso ucciso dalle Nuove Brigate Rosse nel 1999, le idee riformiste costarono la vita a Biagi, che fu giustiziato mentre rientrava a casa in bicicletta. Nella rivendicazione diffusa dopo l'omicidio, il professore veniva indicato come "ideatore e promotore delle linee e delle formulazioni legislative di un progetto di rimodellazione della regolazione dello sfruttamento del lavoro salariato, e di ridefinizione tanto delle relazioni neocorporative tra esecutivo, Confindustria e sindacato confederale, quanto della funzione della negoziazione neocorporativa in rapporto al nuovo modello di democrazia rappresentativa".

Per l'omicidio di Biagi, ucciso con la stessa arma utilizzata per il delitto di D'Antona, sono stati condannati all'ergastolo i brigatisti Diana Blefari Melazzi (suicidatasi in carcere nel 2009), Roberto Morandi, Nadia Desdemona Lioce e Marco Mezzasalma, mentre a Simone Boccaccini furono riconosciute le attenuanti generiche e la pena fu ridotta a 21 anni di reclusione. La Corte di Cassazione nel 2007 confermò la sentenza di secondo grado.

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