Milano, 28 mag. (Labitalia) - C’è chi ha le idee chiare su ciò che vuol fare 'da grande' fin da bambino e c'è chi lo scopre solo strada facendo, magari sbagliando e andando un po' a tentoni. Comunque sia, fare un lavoro che sia espressione delle nostre più profonde aspettative è importantissimo non solo ai fini di una carriera gratificante, ma anche e soprattutto ai fini di un armonioso equilibrio interiore. Ma, in tempi di crisi, precarietà e flessibilità, come riconoscere la propria 'vocazione' professionale? E quanto conta seguirla?
A rispondere a questi quesiti ci pensa ora un libro, 'Volevo fare l'astronauta. Guida alla ricerca della vocazione lavorativa (e non)' (ed. Franco Angeli, pp. 176, 22 euro), scritto a quattro mani da Gian Maria Bianchi e Virginio Schiavetti, che viene presentato oggi a Milano (ore 18,30, Caffetteria di Villa Necchi Campiglio), dagli autori e da Angela Mottin, direttore del personale di Banca Farmafactoring, e Filippo Barberis, consigliere comunale con delega al Lavoro e all'Università.
"Quando si parla di 'vocazione lavorativa' -dice a Labitalia Gian Maria Bianchi, docente di Intelligenza emotiva e Business alla Liuc e fondatore di Open Human Solutions (www.openhs.it), società di formazione e di coaching sul tema della relazione con se stessi e con gli altri- è utile focalizzarsi su tre elementi, rispondendo a queste domande: cosa dà senso alla mia vita? Cosa mi riesce bene? Cosa mi piace fare?. Quando si trova una risposta trasversale a queste tre domande si è molto vicini alla propria vera vocazione". Non seguire il 'richiamo del cuore' anche sul lavoro può avere conseguenze molto sgradevoli. "Anche per il mio lavoro di coach -aggiunge Bianchi- conosco moltissime persone che, pur avendo raggiunto posizioni apicali e 'invidiabili', sono tuttavia molto tristi perché comunque si sono allontanati da se' stessi, sposando un modello che non è il loro ma che ha avuto origine nella famiglia o nei mezzi di informazione".
Per riconoscere la nostra vera vocazione, sostiene Bianchi, "bisogna fare un lavoro su se stessi". I più giovani possono essere aiutati, spiega, "dai genitori che con pazienza devono lasciare il loro figlio libero di scegliere la sua strada, vigilando sul fatto che questa sia davvero la sua vera vocazione, quella per cui si è anche disposti a fatiche e rinunce".
Non c'è un limite anagrafico per scoprire che il lavoro che abbiamo sempre sognato è altro da quello che si svolge. "Alcune persone lo scoprono 'tardi', quando magari hanno preso impegni che impediscono loro di mettersi in discussione, altri -spiega Bianchi- pur capendo che quel lavoro non fa per loro non vogliono rinunciare a privilegi o posizioni consolidate. Altre volte ancora, è la perdita anche traumatica di un'occupazione che spinge la persona a mettersi in discussione e a riprendere in mano il proprio destino professionale".
"In quest'ultimo caso, sono di grande aiuto sostegni come l'ouplacement o quella formazione che fornisca sì elementi pratici su come ricominciare con una nuova professione, ma che anche e soprattutto aiuti la persona a ridisegnare interiormente la mappa di se' stessa", dice Bianchi. In 'Volevo fare l'astronauta', gli autori illustrano come riconoscere la propria vocazione lavorativa, e come seguirla, imparando a superare i molti blocchi (l'educazione, la famiglia, i modelli sociali, il contesto, le paure più profonde) che spesso impediscono di assecondarla.
E portano ad esempio una serie di storie vere, attraverso interviste e testimonianze di persone che hanno in vario modo (e con diverso successo) affrontato la sfida della vocazione. Con il duplice obiettivo di sottolineare l'importanza della scelta di un lavoro 'vocazionale' e di stimolare, anche attraverso appositi test, una riflessione personale sulla propria vocazione.
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