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Riforme: consulenti lavoro, cambiare articolo V Costituzione

25 giugno 2014 | 16.54
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Tra welfare e occupazione le richieste dei professionisti.

Riforme: consulenti lavoro, cambiare articolo V Costituzione

“I problemi determinati dalla riforma del 2001 impongono una urgente revisione del Titolo V della Costituzione, con un obiettivo doveroso: uno Stato efficiente e costi minimi per i cittadini”. E’ quanto chiedono i consulenti che oggi, in occasione dell’apertura dell’8° congresso nazionale di categoria a Fiuggi, hanno presentato un manifesto la riforma dell’articolo V della Costituzione.

Per i consulenti, “in primo luogo, va attribuita allo Stato la competenza e la responsabilità per l’attivazione al lavoro del disoccupato: i moderni sistemi di welfare europeo stabiliscono l’obbligo per chi perde il lavoro di ricevere un sussidio che sia condizionato alla partecipazione obbligatoria a interventi di attivazione e reimpiego: senza questo diritto-dovere il nostro sistema di welfare resta di tipo assistenziale e la promozione del lavoro viene realizzata al di fuori da ogni responsabilità istituzionale”.

“Per questo motivo è fondamentale -insistono i professionisti- che la responsabilità dell’attivazione al lavoro sia definita come diritto costituzionalmente garantito e parte del patto di cittadinanza che lega gli italiani e come tale definito dalla responsabilità primaria dello Stato e non delle singole regioni. Rendere attuali gli articoli 1 e 3 della Costituzione significa compiere questa scelta”.

Secondo i consulenti del lavoro, “inoltre, la riforma dell’art. 117 della Costituzione assume rilevanza fondamentale nel più ampio disegno di semplificazione ed evoluzione del mercato del lavoro e per la sempre più impellente necessità di ridefinizione del carico fiscale”. “E’ necessario -sostengono- ovviare immediatamente alla frammentazione delle normative locali, foriere di contenzioso innanzi tutto proprio per la definizione degli incerti confini che oggi le caratterizzano. Ciò oltre alla necessità di ovviare a disparità fra cittadini ed imprese soltanto perché operanti in Regioni diverse: si tratta di dare carattere nazionale -spiegano i professionisti- al patto di cittadinanza fondato sul lavoro”.

Dai servizi per l’impiego ai tirocini, dall’apprendistato alla cassa integrazione, sono diverse le materie e i profili per i quali è impellente l’intervento del legislatore. Per i consulenti del lavoro, “l’Italia è ancora oggi l’unico paese europeo in cui chi riceve il sussidio di disoccupazione non ha il diritto-dovere a partecipare ad azioni dirette al reimpiego e all’attivazione al lavoro”.

“Questo principio -dicono- è centrale nella riforma degli ammortizzatori sociali e richiede che le politiche attive e i servizi per il lavoro siano resi più efficienti. Questo principio non può non avere una garanzia di natura costituzionale ed essere posto in capo alle funzioni dello Stato, come parte del patto di cittadinanza”.

E ancora, per i consulenti del lavoro, “servono livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per il lavoro definiti a livello nazionale e serve un sistema di accreditamento dei servizi competenti unico su base nazionale”. I professionisti ricordano che “i servizi per la gestione delle politiche attive e passive sono gestiti a livello locale e spesso in contrasto non solo sul piano nazionale ma anche su quello regionale stesso in relazione alle direttive provinciali”. “Le comunicazioni telematiche per la gestione dei rapporti di lavoro dovrebbero essere semplificate e convogliate in un unico nodo nazionale da cui le pubbliche amministrazioni possono agevolmente attingere i dati a loro necessari”, osservano.

Altro tema ‘caldo’ i tirocini formativi. “Non è accettabile -attaccano i consulenti- che solo nelle Regioni virtuose, che hanno regolamentato in modo organico e funzionale la materia, i giovani possano usufruire in modo pieno di tale opportunità. Del tutto inconcepibili ad esempio le evidenti disparità di regolamentazione anche soltanto del semplice compenso per il tirocinio”.

E per i consulenti “considerazioni di natura analoga possono valere per l’apprendistato”. “Non solo -avvertono- si è creato un dedalo di regolazioni e tipologie di formazione differenti, che peraltro ne hanno limitato l’utilizzo, ma si è di fatto sperperato l’ingente patrimonio di risorse dedicate alla formazione, con buona pace degli intenti finalizzati all’inserimento agevolato dei giovani nel mercato del lavoro. La semplice comunicazione di assunzione e del piano formativo, presenta notevoli problemi, a volte insormontabili che allontanano il mondo imprenditoriale dal contratto di apprendistato”.

E sulla cassa integrazione in deroga i consulenti sostengono che “uno strumento di tale rilevanza non può essere delegato solo alle Regioni”. “La gestione di enormi risorse di denaro legate a doppio filo alla sorte di milioni di lavoratori, necessita di un piano programmatico di visione globale e organica, coerente e coordinato sul piano nazionale. E’ insostenibile la contemporanea sussistenza di regimi tecnici, giuridici, di fatto, anche significativamente diversi tra loro nell’ambito nazionale, che si ritrova così privo di una strategia unitaria in un campo per il quale non può che essere imprescindibile”, spiegano.

Per i professionisti, inoltre, “l’anacronistico obbligo della tenuta e vidimazione del registro infortuni, stante l’obbligo contestuale di utilizzare la procedura on line per la comunicazione degli eventi infortunistici, non è presente su tutto il territorio nazionale”. “Di fatto, quindi, si è creato una differenza procedurale per le aziende che operano su territori diversi. Un registro, vidimato e compilato, o è necessario, o non lo è”, affermano.

Infine, per i consulenti, “l’Irap è il più intuitivo esempio di frammentazione normativa e diseguaglianza per le imprese che operano sul nostro territorio nazionale”. “Venti Regioni, venti aliquote ordinarie impositive diverse (ben più numerose sono le differenze di aliquote a seconda della tipologia di attività aziendale). Venti Regioni venti deduzioni fiscali diverse. Sono questi esempi che rendono evidente come l’impostazione del Titolo V sui poteri e sulle responsabilità relative al lavoro sia oggi da rivedere profondamente, se si intende far funzionare il mercato del lavoro italiano che, proprio per questo, è oggi tra i meno efficienti d’Europa (al 24° posto su 27 nazioni)”, concludono i consulenti.

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