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Lavoro: Manageritalia, art.18 non è tabù e non serve più

24 settembre 2014 | 15.27
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Il presidente Guido Carella: "E' ormai un'arma impropria in mano a chiunque non voglia cambiare il lavoro in Italia".

Guido Carella
Guido Carella

"L'articolo 18 è ormai un'arma impropria in mano a chiunque non voglia cambiare il lavoro in Italia. Non è sicuramente questa la vera causa della nostra crisi economica e occupazionale e dei mancati investimenti in Italia di imprenditori nazionali e esteri. Ben prima vengono burocrazia, giustizia, fisco e tanto altro". Così Guido Carella, presidente Manageritalia, a proposito del riforma del lavoro in discussione in Parlamento.

"È però ancor più importante - sottolinea - capire che nell'economia di oggi l'articolo 18 è di fatto una tutela spuntata per i lavoratori, che hanno una vita professionale media più elevata di quella delle aziende e devono conservare una professionalità, sempre più mutevole, più che un posto di lavoro, sempre meno stabile. Anche perché oggi reintegrare il lavoratore in un'azienda che non lo vuole, porta spesso a una 'emarginazione' foriera di degrado professionale e psicologico".

Un'opinione corroborata da quanto dicono i quasi 1.000 manager intervistati nel 2013 da AstraRicerche per Manageritalia. Primo, non è sicuramente l'esistenza dell'articolo 18 che impedisce alle aziende di assumere e all'occupazione di aumentare (61,7%). Secondo, l'articolo 18 e le logiche sottostanti sono negative per le aziende, ma soprattutto per i lavoratori che, a fronte del reintegro rischiano di avere un danno a livello professionale, fisico e psicologico (53,3%).

"Quindi, salvi i casi di discriminazione, già puniti dalla legge, è meglio - continua Carella - che, in un rapporto di lavoro che non funziona, la parte più debole possa uscirne, per il suo bene, con un equo risarcimento. Un modo per tutelare davvero il lavoratore ed evitargli seri rischi di obsolescenza professionale e disagio personale".

"Certo, bisogna che il risarcimento sia equo e che ci sia un mercato flessibile e che funziona, con servizi di formazione e ricollocazione veri ed efficaci per permettere una migliore allocazione delle 'risorse'. Solo così tuteliamo veramente i lavoratori e la loro professionalità, la competitività delle aziende e del sistema. Chi dice il contrario, vuole solo mascherare la sua incapacità di far funzionare il mercato del lavoro e i servizi connessi", dice il presidente di Manageritalia.

"Quindi - chiude Carella - andiamo oltre l'articolo 18. Il contratto unico a tutele crescenti, con disincentivi per chi lo utilizza in modo improprio, è un buon modello, soprattutto se elimina una pletora di forme contrattuali che fanno solo confusione. Certo, deve essere il 'cavallo di Troia' di una flessibilità sana, indispensabile a aziende e lavoratori, e non un modo per nascondere quella precarietà così dannosa per imprese, lavoratori e sistema. Ormai, è infatti appurato che le imprese che funzionano e competono meglio e fanno profitti e occupazione sono quelle che puntano sulle persone e non su tagli di costi e teste. O lo capiamo e lo applichiamo, o non usciremo mai più dal tunnel".

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