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Tfr: consulenti lavoro, in busta paga dai 40 agli 82 euro al mese

06 ottobre 2014 | 16.02
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Guida della Fondazione studi all'anticipo: dal bacino dell'utenza agli equilibri pensionistici. Per la presidente Calderone, creerebbe difficoltà di liquidità per le pmi.

Tfr: consulenti lavoro, in busta paga dai 40 agli 82 euro al mese

Dai 40 agli 82 euro al mese. Questa la cifra che verrebbe messa nelle buste paga dei lavoratori italiani, nel caso passasse la proposta del governo del Tfr in busta paga. A dirlo la Fondazione studi dei consulenti del lavoro, che nel parere numero 3 del 2014 chiarisce tutti i passaggi tecnici della proposta, illustrando il bacino d’utenza, l’ammontare della somma da percepire e le criticità legate alle coperture finanziare e agli equilibri pensionistici.

"Nelle buste paga dei lavoratori -spiega- andrebbero circa 40 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 50%), circa 62 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 75%) e circa 82 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 100%). Se si decidesse di mantenere l’odierna agevolazione fiscale, l’ammontare mensile varierebbe di circa 5 euro in eccesso".

La proposta del governo di anticipare il Tfr in busta paga, sostiene la Fondazione studi, "dovrebbe riguardare esclusivamente i dipendenti del settore privato, ovvero circa 12 milioni di lavoratori rispetto agli oltre 3 milioni del settore pubblico". "Per il settore privato - precisa - ogni anno vengono erogate 315 miliardi di retribuzioni contro i 115 miliardi per quelle dei lavoratori pubblici, per un totale di circa 430 miliardi di retribuzioni l’anno. Il Tfr maturato ogni anno è circa 21 miliardi, 451 milioni di euro".

"Sapendo che per le imprese -avverte- che superano i 49 dipendenti il Tfr rimasto in azienda viene destinato al Fondo di Tesoreria Inps, dal quale non è possibile sottrarlo per non incorrere in problemi di gettito, questa proposta riguarderebbe solo la metà dei lavoratori privati, ovvero i 6 milioni e 500 mila dipendenti di aziende private con meno di 50 dipendenti".

Un altro fattore da considerare, per la Fondazione studi dei consulenti del lavoro, è la riforma delle previdenza complementare, entrata in vigore dal 1° gennaio 2007, a cui ogni anno vengono destinati 6 miliardi del Tfr. "Poi, ci sono i 6 miliardi distribuiti annualmente al Fondo Tesoreria Inps e i restanti 10 miliardi che rimangono in azienda. Di conseguenza, se la proposta normativa riguarderà solo le aziende fino a 49 dipendenti, il Tfr sarebbe circa la metà di quello maturato complessivamente", prosegue.

"Il Tfr, sia che venga corrisposto al termine del rapporto sia che venga in parte anticipato durante il rapporto, gode di un’agevolazione fiscale e previdenziale. La prima riguarda un regime di tassazione agevolata che va dal 23 al 25% della somma percepita; la seconda è invece la totale esenzione, in quanto la somma del Tfr non alimenta il trattamento pensionistico dei lavoratori", fa notare.

"In passato, in caso di Tfr anticipato mensilmente in busta paga dai datori di lavoro -ricorda la Fondazione studi nel parere- i giudici del lavoro avevano stabilito un cambiamento della natura della retribuzione, che diventava così ordinaria e non speciale. Di conseguenza, le imprese sono tenute a pagare i contributi corrispettivi e i lavoratori le imposte con un tasso ordinario e non più agevolato. Per conservare, dunque, l’agevolazione fiscale e contributiva, bisogna necessariamente prevedere un’adeguata copertura finanziaria".

"La scelta di destinare il Tfr dei lavoratori alla previdenza complementare -continua- in seguito all’entrata in vigore della riforma della previdenza del 2006 dava la possibilità di integrare il metodo contributivo".

"Se adesso si scegliesse di anticipare -rimarca- la somma o parte di essa in busta paga, si creerebbe un danno al sistema pensionistico direttamente proporzionale al numero degli anni per cui viene percepito l’anticipo".

Secondo quanto è emerso da un’indagine effettuata dalla Fondazione studi sulle microimprese, "gli imprenditori vorrebbero liquidare il Tfr per favorire il clima aziendale e al tempo stesso evitare di dover versare somme superiori al loro volume d’affari al termine del rapporto di lavoro del dipendente".

"Ma è necessario sottolineare -avverte- che questa proposta non porterà a un aumento delle retribuzioni. Si tratta, infatti, solo di un sistema di autofinanziamento con cui i lavoratori si anticipano indennità future, mettendo però a rischio gli equilibri pensionistici e indirizzando i futuri pensionati a una misera esistenza".

"Certo è che si darebbe liquidità da un lato, togliendone dall'altro", conclude.

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