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Minori: 340mila baby-lavoratori in Italia, soprattutto preadolescenti

27 aprile 2015 | 14.15
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La fotografia scattata dalla ricerca curata dall'Associazione Bruno Trentin e Save the Children

 (Infophoto)
(Infophoto)

Sono 340mila, in Italia, i minori di 16 anni, con una qualche esperienza di lavoro. Si tratta di pre-adolescenti dai 12 ai 15 anni che, nella maggior parte dei casi, aiutano i genitori nelle loro attività professionali nel mondo delle piccole e piccolissime imprese a gestione familiare (41%), oppure sostenendoli nei lavori di casa (30%). Il restante 29% si distribuisce in misura equivalente tra chi lavora nella cerchia dei parenti e degli amici oppure di altre persone. E' la fotografia scattata dalla ricerca 'Game over. Il lavoro minorile in Italia', curata dall'Associazione Bruno Trentin e Save the Children, illustrata a Labitalia da Anna Teselli, ricercatrice nell’area welfare e diritti di cittadinanza e responsabile dell’Osservatorio sul lavoro minorile.

"Il grande sforzo che bisogna fare nel raccontare il fenomeno del lavoro minorile -spiega- è quello di posizionarlo all'interno di un'economia avanzata, come la nostra. Non ci troviamo, infatti, davanti a baby lavoratori impiegati in lavori lontani dalle società evolute, ma di giovanissimi impegnati a contribuire a mandare avanti l'azienda di famiglia oppure a servire, fino a tardi, tra i tavoli dei ristoranti".

"Alcuni frequentano ancora la scuola -precisa Anna Teselli- sono impiegati in mansioni che gli adulti non vogliono fare oppure presso aziende familiari. Le attività principali sono svolte nelle microimprese familiari e presso terzi. In generale, il 27,7% delle attività riguarda il settore della ristorazione, 22% quello della vendita (comprese quelle ambulanti), 17,2% della campagna, 15% artigianali, 4,3% baby sitter e attività con bambini, 4,2% lavoretti di ufficio e 1,9% impegni nei cantieri".

"Un ragazzo su cinque dei 14-15enni che lavorano -fa notare- svolge un’attività di tipo continuativo (quasi 55.000), soprattutto in ambito familiare. Le esperienze più continuative sono quelle legate al settore della ristorazione e alle attività artigianali; nella maggior parte dei casi sono svolte per la famiglia. I lavori continuativi coinvolgono i minori per almeno 3 mesi all’anno, almeno una volta a settimana e almeno 2 ore al giorno".

"I ragazzi lavorano soprattutto -sottolinea la ricercatrice- per aiutare le famiglie nella loro attività di lavoro (nel 40% dei casi); un ragazzo su due segnala ragioni personali, come quella di avere soldi propri (25,8%) o perché gli piace (22,1%)". Il problema sicurezza non è molto percepito dai giovani. "Per l'83,9% dei minori che lavorano -ricorda- il lavoro non è pericoloso e solo il 14% lo indica come un 'po’ pericoloso'.

Eppure, i rischi esistono. "I giovani -continua- lavorano in fasce orarie serali o notturne, svolgono un lavoro continuativo e indicano almeno una delle seguenti condizioni: interrompono la scuola per lavorare; il lavoro interferisce con lo studio; il lavoro non lascia tempo per il divertimento con gli amici e per riposare; il lavoro viene definito moderatamente pericoloso".

Dati alla mano, rimarca Anna Teselli, "in quasi la totalità dei casi si tratta di lavori continuativi". "E' molto elevata, infatti, la quota delle attività svolte tutti i giorni (nel 65% dei casi, quasi tre volte di più rispetto all'insieme delle esperienze di lavoro) o in modo regolare, cioè da oltre 6 mesi nell'anno (67%), con un calo significativo delle attività occasionali e saltuarie", dice.

Facendo un collegamento scuola-lavoro, aggiunge, emerge come "l’evento critico della bocciatura sia molto più frequente per i minori con esperienze di lavoro". "Il 50% dei minori a rischio ha un giudizio di licenza media sufficiente contro il 19% di tutti gli altri. L’idea di un 'futuro investito nel mondo del lavoro e non a scuola', inoltre, è il criterio che orienta la prospettiva di vita dei ragazzini che cominciano presto a lavorare", conclude.

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