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Sostenibilità: aziende certificate assumono e esportano più di altre

26 febbraio 2016 | 12.41
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Sostenibilità: aziende certificate assumono e esportano più di altre

Le certificazioni ambientali aiutano la qualità delle imprese e l’innovazione, spingono le esportazioni, il fatturato e l’occupazione, indirizzano alla green economy. Lo rileva il rapporto "Certificare per competere" di Fondazione Symbola e Cloros, presentato oggi a Milano in collaborazione con Accredia. Prendendo in considerazione i quattro settori tradizionali del made in Italy (automazione, abbigliamento, arredocasa, alimentar, le cosiddette "4A"), Symbola e Cloros hanno messo a confronto le perfomance delle aziende certificate con quelle delle non certificate.

Il risultato? Tra il 2009 e il 2013, le imprese delle 4A "amiche dell’ambiente" hanno visto i loro fatturati aumentare mediamente del 3,5%, quelle non certificate del 2%: le certificazioni portano in dote, cioè, uno ‘spread’ positivo di 1,5 punti percentuali. Ancora meglio nell’occupazione, dove lo spread arriva a 3,8 punti percentuali: le aziende certificate hanno visto crescere gli addetti del 4%, le altre dello 0,2%.

Con vantaggi particolarmente spiccati nell’abbigliamento (spread nel fatturato +3,6) e nell’automazione (spread per gli addetti +3,9). Determinante essere attenti alla sostenibilità anche sul fronte export: le imprese delle 4A con certificazione ambientale esportano nell’86% dei casi, mentre le non certificate nel 57%.

agli italiani piacciono i marchi ambientali, ma li conoscono poco

E se le certificazioni giovano a tutte le imprese, alle aziende medio piccole mettono il turbo: le Pmi (fino a 50 addetti) con certificazione ambientale registrano uno spread di +4 punti nel fatturato (contro un +1,1 delle medie, fino a 250 addetti, e un +0,6 punti delle grandi) e di 1,2 punti negli occupati (contro lo 0,6 o 0,7 delle altri classi).

Quello delle certificazioni e dei marchi ambientali è un vero e proprio universo: sono oltre 450 nel mondo a cui si affiancano 12 new entry l’anno ed è composto da sigle semplici ed efficaci, altre poco comprensibili, strumenti rigorosi che convivono con operazioni di puro greenwashing. Con oltre 24mila certificazioni l'Italia è secondo Paese al mondo per numero di certificati Iso 14001, il primo per numero di certificazioni di prodotto Epd, il terzo per Ecolabel ed Emas. E siamo il quinto paese del G20 per certificazioni forestali di catena di custodia Fsc.

D'altra parte gli italiani sono sempre più sensibili verso la sostenibilità. Come testimonia un sondaggio Ipsos curato per questo studio, infatti, i nostri concittadini dimostrano un discreto interesse verso il "green", buona familiarità e fiducia nelle certificazioni ambientali: l’80% degli intervistati le ritiene affidabili. Ma le conoscono poco: se si chiede di indicare spontaneamente i marchi di certificazione conosciuti, sa dare una risposta il 39% degli intervistati. E tra questi meno della metà, ossia il 15%, indica nomi di certificazioni ambientali esistenti.

59% nuovi posti di lavoro prodotti nel 2015 ha a che fare con l’ambiente

“Le certificazioni ambientali – spiega il presidente di Symbola Ermete Realacci - non vanno considerate come una pratica burocratica da adempiere, ma come un elemento determinante nel cammino delle aziende di tutti i settori e del Paese verso la qualità. Una certificazione ambientale porta con sé vantaggi nei bilanci, più qualità, migliori rapporti con i consumatori, il territorio, la società e la Pubblica amministrazione. Marchi e certificazioni amici dell’ambiente aiutano anche a contrastare i mutamenti climatici e spingono l’Italia nella direzione indicata dalla Cop21 di Parigi”.

E' necessario però, secondo Riccardo Caliari, amministratore delegato di Cloros, "lavorare su due fronti per far sì che gli obiettivi di contenimento dei cambiamenti climatici diventino un’opportunità e non un problema: da un lato fare informazione verso il consumatore finale sui marchi ambientali e dall’altro fare capire alle aziende che hanno la grande possibilità di creare un vantaggio competitivo”.

Dal rapporto emerge anche che il 24,5% delle imprese italiane, dall’inizio della crisi, ha fatto investimenti 'green' con vantaggi competitivi in termini di export; il 43,4% delle imprese manifatturiere eco-investitrici esporta stabilmente contro il 25,5% delle altre; ha a che fare con l’ambiente il 59% dei nuovi posti di lavoro prodotti nel 2015.

serve più informazione per sensibilizzare cittadini e imprese

Se il potenziale delle certificazioni amiche dell’ambiente non è pienamente sfruttato lo si deve a diverse concause tra cui: una inadeguata conoscenza delle certificazioni e dei loro benefici da parte delle imprese che potrebbero adottarle, un deficit dell’azione pubblica in sostegno a questi strumenti e la scarsa alfabetizzazione dei consumatori finali.

C’è ancora da lavorare e sia la politica, che enti certificatori e aziende devono fare di più per raggiungere una maggiore diffusione delle certificazioni ambientali così da renderle un fattore strutturale nella crescita qualitativa del sistema produttivo italiano.

Lo studio “Certificare per competere” è stato realizzato grazie all’apporto di: Certiquality, Csi, Csqa, Centrocot, Fsc Italia, Icea, Pefc.

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