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Petrolio: le associazioni e il Sì al referendum, il futuro energetico è pulito/Focus

25 marzo 2016 | 14.24
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Petrolio: le associazioni e il Sì al referendum, il futuro energetico è pulito/Focus

Stop trivelle. Il futuro energetico del nostro Paese è pulito. Le associazioni si schierano a favore del sì e invitano gli italiani ad andare a votare al quesito referendario del 17 aprile sulle trivelle. Non ha dubbi Greenpeace: secondo Andrea Boraschi, responsabile campagna clima ed energia di Greenpeace, “l'idea di trivellare i nostri mari è semplicemente insensata. Non porterà alcuno sviluppo al paese neppure in termini energetici”.

Nei nostri fondali, spiega Boraschi, “c'è l'equivalente di 7 – 8 settimane dei consumi nazionali di petrolio e di 6 mesi circa di gas. Per così poco, che non crea occupazione e gettito nelle casse pubbliche, rischiamo di rovinare alcuni dei tesori che abbiamo colpendo anche il turismo e la pesca”. Il governo, commenta Boraschi, “ha fatto questa strana regalia ai petrolieri concedendogli un fine vita 'mai', concessioni che non hanno termine che sono potenzialmente illimitate quando ci sono piattaforme che già oggi producono pochissimo tanto da non pagare le royalties su quello che estraggono. Vecchie carrette molto pericolose”.

Da un punto di vista ambientale, infatti, secondo il responsabile clima ed energia di Greenpeace, “si parla molto dei disastri che potrebbero venire da una strategia di questo genere si parla poco di quello che già succede. Dati del ministero elaborati da Greenpeace ci dicono che 3 volte su 4 le piattaforme che operano nei nostri mari non riescono a rispettare i parametri ambientali assegnati e nonostante ciò nessuno ritira licenze. E' importante sapere che già oggi c'è qualcosa in atto che merita di essere fermato”.

Ma qual è il futuro energetico del nostro Paese? Pulito, nessun dubbio. Una strada che secondo Boraschi, non è solo doverosa ma anche imposta “dal fatto che non abbiamo mai avuto risorse fossili ingenti e siamo un paese che deve importare gran parte della sua energia. Costruire anche un percorso di indipendenza energetica che possa consentirci di smettere di pagare miliardi e miliardi di euro per importare energie sporche è una delle cose più importanti da fare”.

Posizione sposata da Legambiente. Per la presidente nazionale Rossella Muroni, “proporre concessioni petrolifere e di gas senza limiti di tempo vuol dire non avere, in realtà, un piano energetico pronto rispetto agli impegni presi a Parigi con la Cop21”. Per rinunciare alle fonti fossili, insomma, serve un piano energetico alternativo “che per noi vuol dure investire su rinnovabili, efficienza energetica, a partire dall’edilizia, su trasporti collettivi e risparmio energetico. Insomma, su un virtuosismo che da una parte abbatta le emissioni e dall’altra crei nuovi posti di lavoro”.

Il 17 aprile Legambiente voterà sì “per opporci a delle concessioni petrolifere senza limite di tempo e perché vorremmo che questo Paese uscisse definitivamente dall’era dei fossili, dando così seguito agli accordi sottoscritti a Parigi”. E sul fronte sicurezza aggiunge: “la storia è piena di impianti industriali ‘non pericolosi’ che poi, purtroppo, hanno segnato i nostri territori. E c’è tutto un sistema attorno alle piattaforme, a partire dalle petroliere che solcano il nostro mediterraneo, che creano una situazione di inquinamento, pericolo e rischio rispetto all’ecosistema marino”.

Per il Wwf "nessun posto di lavoro viene messo in crisi dal referendum, perché la vittoria del sì farà semplicemente rivivere una norma che era vigente fino a pochi mesi fa e sulla quale le compagnie petrolifere avrebbero già dovuto fare i propri conti nel momento in cui hanno chiesto ed ottenuto la concessione estrattiva". Per l'associazione "il petrolio nei mari italiani è presente in quantità talmente ridotte che, anche se si riuscisse a estrarlo tutto, coprirebbe il fabbisogno energetico nazionale solo per 7 settimane".Il Wwf Italia sottolinea che le piattaforme a mare che sono nella fascia di interdizione delle 12 miglia dalla costa, che sarebbero interessate dal referendum, producono solo l’1,9% del fabbisogno nazionale di gas. Le aziende che hanno le concessioni per le estrazione, inoltre, sono in larga parte multinazionali con sedi all’estero che impiegano pochissimo personale in un settore che da anni attraversa una profonda crisi occupazionale.

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