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Clima e uragani, l'esperto: "In futuro meno cicloni ma più intensi"

06 ottobre 2016 | 17.29
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(Foto Afp)
(Foto Afp)

Meno cicloni ma più intensi: questa la proiezione che offrono gli strumenti di analisi in scenari di clima futuro con temperature più alte, condizionate dagli effetti del cambiamento climatico. Enrico Scoccimarro, ricercatore Ingv - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e Cmcc - Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, spiega all'Adnkronos la possibile evoluzione in scenari futuri di eventi estremi, come l'uragano Matthew.

"Cercare di mettere in relazione i singoli eventi che viviamo con i cambiamenti climatici è sempre difficile - premette l'esperto che è anche l'unico membro italiano del panel mondiale che si occupa di uragani U.S. Clivar Hurricane Working Group che fa capo al Noaa - possiamo però fare una valutazione statistica relativa a quello che ci aspettiamo in un clima più caldo. Diversi studi suggeriscono che ci possiamo aspettare una riduzione del numero di cicloni in scenari di clima più caldo ma in parallelo un aumento delle intensità raggiunte".

Quindi, spiega, "meno cicloni, ad oggi più o meno ce ne sono 90 all’anno, ma un aumento dell’intensità. Quello che succede è che aumenta la 'stabilità' in atmosfera, riducendo la genesi di tali sistemi, ma anche la disponibilità di energia: oceani più caldi saranno un serbatoio più grosso in termini di energia".

Ma cos'è un uragano? "E' il termine che viene utilizzato per definire cicloni tropicali intensi che si verificano nelle regioni dell’Atlantico e del Pacifico dell’est. Fenomeni della stessa entità in diverse zone, quelle del Pacifico dell’Ovest, vengono chiamati tifoni. Quindi i due termini, tifone e uragano, non sono altro che la massima rappresentazione, in termini di intensità, del ciclone tropicale", continua Scoccimarro.

"I cicloni tropicali vengono classificati principalmente in base all’intensità del vento alla superficie - spiega - prima sono solo depressioni tropicali, poi diventano tempeste tropicali quindi possono evolvere in uragani o tifoni (di categoria 1), quando raggiungono i 33 metri al secondo (118 km/h). Anche questi hanno una classificazione di intensità da 1 a 5 (velocità del vento > 250 km/h), scala Saffir-Simpson".

"I cicloni tropicali sono grandi sistemi temporaleschi organizzati, che hanno un centro di bassa pressione verso la quale convergono le masse d’aria che cominciano a roteare grazie alla presenza della forza di Coriolis, forza che dipende dalla latitudine - afferma - All’Equatore questa forza è zero e non partecipa alla formazione dei cicloni tropicali, infatti all’equatore i cicloni tropicali non ci sono, ed è massima andando verso i Poli. Ma non abbiamo uragani fino alle regioni polari perché c’è un altro limite che ne inibisce la formazione a circa 35° Nord, perché la temperatura dell’oceano diventa troppo bassa e non riesce più a fornire l’energia al sistema. La sorgente di energia che permette a questi sistemi di evolversi, infatti, è l’oceano stesso".

"Con lo sviluppo del ciclone si forma una zona all’interno, in quota, di aria calda che non fa altro che stimolare la risalita di masse d’aria e quindi l’aumento della depressione alla base del ciclone stesso e questo fa sì che tenda ad autoalimentarsi e a crescere finché ha una sorgente di energia sotto di sé. Il ciclone solitamente inizia a spegnersi quando raggiunge acque sufficientemente fredde da non riuscire ad alimentare il sistema oppure quando raggiunge la terra ferma, non essendoci più la sorgente di energia", dice il ricercatore.

Questo fa sì che i danni siano massimi sulle "zone costiere e le isole che ci sono ad esempio nell’Atlantico, ai Caraibi e nel Pacifico perché si trovano nelle aree in cui c’è l’energia massima disponibile. In pratica si trovano come barchette nelle zone maggiormente esposte (va considerato che un ciclone tropicale ha un diametro di qualche centinaia di chilometri)".

Non solo. "Il grosso rischio cui sono esposte non è solo quello associato ai venti o alle precipitazioni, ma anche quello associato alle inondazioni - chiarisce - Ad esempio Haiti, dopo il passaggio di Matthew, vivrà ulteriori danni nelle prossime settimane: ora scatta infatti un secondo livello di emergenza che è quello delle inutilizzabilità di parte delle risorse di acqua dolce anche a causa dell’acqua salata che tende a raggiungere le zone interne delle isole una volta spinta dal moto ondoso indotto dal ciclone stesso. I tre principali fattori di rischio associati ai cicloni tropicali sono quindi i venti forti, le piogge estreme e le inondazioni associate".

Quanto al percorso dell’uragano Matthew, spiega il ricercatore, "si aspetta l’arrivo sul nordest della Florida in nottata (si sposta a circa 20 km/h), per poi transitare lungo la costa degli Stati Uniti, non oltre la Carolina del Nord. La proiezione è che arrivi come categoria 4 sulla Florida. Si tratta di un tipico ciclone tropicale che ha avuto fasi di intensificazione molto forti: è passato da categoria 1 a 4 in 24 ore; negli ultimi 10 anni, a memoria, è successo 4-5 volte".

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