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Alimenti: pesce re menù euromediterranei, ma quello locale sempre più raro

22 maggio 2017 | 12.15
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 - elxeneize - Fotolia
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Pesce che passione. Nella dieta dei cittadini europei dell’area mediterranea, questo alimento la fa da padrone: solo nel 2014, Croazia, Italia, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Portogallo - che sono fra i maggiori consumatori di prodotti ittici - hanno speso circa 34,57 miliardi di euro, circa il 63% del totale Ue. Un consumo annuale di quasi 7,5 milioni di tonnellate, ma di queste solo 2,75 milioni di tonnellate provengono da fonti interne mentre il resto, quasi 5 milioni di tonnellate ogni anno, viene importato o pescato altrove.

Secondo i dati Eumofa del 2014, le nazioni dell’area euromediterranea importano il 36% di tutte le risorse ittiche dai Paesi fuori dell’Ue. Stando ai dati contenuti nel nuovo report del Wwf “Gusti locali, mercati globali. Le risorse ittiche e il Mediterraneo”, per ogni kg di pesce pescato o allevato nelle nazioni dell’area euro mediterranea, quasi 2 kg vengono importati.

Da dove arriva, dunque, il pesce che appare sui nostri banconi e nei nostri menù? Principalmente dall’Atlantico e dal Nord Africa. Nel 2014, le nazioni dell’area euro mediterranea hanno importato circa 1,8 milioni di tonnellate da Marocco, Turchia, Mauritania, Tunisia, Egitto, Algeria e Libia, a cui si aggiungono circa 335mila tonnellate pescate su licenza nelle acque nazionali di questi Paesi. Cosa si importa? Soprattutto le specie più appetibili sul mercato come i polpi.

Secondo i dati Eurostat 2014, oltre la metà della spesa in prodotti ittici dell'area euromediterranea appartiene a Spagna, Italia e Francia. Nella regione, secondo la Fao, il consumo medio annuale pro capite ammonta a 33,4 kg (a fronte di quello medio Ue che è di 22,9 kg, e quello mondiale di 19,2 kg); in Portogallo la cifra cresce fino a 56,8, oltre 1 kg di pesce a persona ogni settimana. La Spagna è seconda con 42,4 kg.

E l’Italia? Consuma una media di 25,4 kg di pesce pro capite l’anno, ma di questo addirittura il 78% viene importato. Del pesce che consumiamo, solo sardine e acciughe sono al 100% locali, mentre è importato il 72% dei crostacei, il 75% di tonno e pesce spada e l’82% dei cefalopodi.

Ma non è sempre stato così, c’è stato un tempo in cui il pesce consumato proveniva direttamente dal nostro mare. Ma oggi il 93% degli stock ittici locali è eccessivamente sfruttato. La diminuzione di pescato diminuisce l’attività di pesca e quindi di lavoro. Alle nazioni dell’area euro mediterranea spetta il compito di mettere in campo politiche di tutela degli stock ittici e di contrasto alla pesca illegale, ma molto può fare il consumatore.

Per non pesare sugli stock ittici sovrasfruttati, una buona abitudine è quella di variare le scelte di acquisto privilegiando le specie locali che vengono pescate meno, pesce locale da acquacoltura sostenibile o importato da fonti sostenibili come il pangasio vietnamita, ma biologico e certificato Asc (Aquaculture Stewardship Council).

Però, scegliere il pescato locale contribuisce e sostenere anche l’attività dei pescatori del proprio territorio. Tra le buone abitudini, controllare l’etichetta per capire cosa si sta acquistando, mangiare solo pesce adulto, evitando gli esemplari troppo giovani che non hanno avuto ancora tempo di riprodursi. Il Wwf ha realizzato una “Guida al consumo responsabile di pesce” online e multilingue, ottimizzata per dispositivi mobili, con informazioni essenziali sui prodotti disponibili in 12 Paesi Ue, così classificati: blu (certificato), rosso (da evitare), verde (da provare) e arancione (attenzione).

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