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Animali selvatici, persi quasi 2/3 delle popolazioni globali

10 settembre 2020 | 10.59
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(Foto Greenpeace)
(Foto Greenpeace)

Se fossero legate ad azioni quotate in Borsa, farebbero tremare i polsi ai mercati finanziari globali: le curve pericolosamente negative che emergono dall’analisi Wwf sul Pianeta Vivente ‘parlano’ invece di gorilla, orsi, pappagalli, tartarughe e storioni, tutti elementi fondamentali degli ecosistemi grazie ai quali l'umanità vive. Il Living Planet Report, lanciato oggi dal Wwf al livello internazionale in cui si misura la riduzione delle popolazioni globali di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci, è allarmante: l’analisi 2020 mostra un calo medio di due terzi avvenuto in meno di mezzo secolo, causato in gran parte dalla distruzione degli ecosistemi che sta anche contribuendo all'emergere di malattie zoonotiche come il Covid-19. 

Il Living planet index (Lpi), fornito dalla Zoological Society of London (Zsl), mostra infatti che i fattori ritenuti in grado di aumentare la vulnerabilità del pianeta alle pandemie, come il cambiamento dell'uso del suolo e l'utilizzo e il commercio di fauna selvatica, sono gli stessi che hanno determinato il crollo delle popolazioni di specie di vertebrati tra il 1970 e il 2016 il cui valore medio globale si attesta intorno al 68% di perdita. 

"Il Living Planet Report 2020 sottolinea come la crescente distruzione della natura da parte dell'umanità stia avendo impatti catastrofici non solo sulle popolazioni di fauna selvatica, ma anche sulla salute umana e su tutti gli aspetti della nostra vita", ha affermato Marco Lambertini, direttore generale del Wwf Internazionale. 

"Non possiamo ignorare questi segnali: il grave calo delle popolazioni di specie selvatiche ci indica che la natura si sta deteriorando e che il nostro pianeta ci lancia segnali di allarme rosso sul funzionamento dei sistemi naturali. Dai pesci degli oceani e dei fiumi alle api, fondamentali per la nostra produzione agricola, il declino della fauna selvatica influisce direttamente sulla nutrizione, sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza di miliardi di persone”. 

"La natura è alla base della nostra salute, del nostro benessere e dei nostri mezzi di sussistenza, eppure la stiamo distruggendo molto più velocemente di quanto sia in grado di ricostituirsi” dichiara la presidente del Wwf Italia, Donatella Bianchi che aggiunge: "Nel mezzo di una pandemia che colpisce tutto il pianeta è più che mai importante intraprendere in tempi brevissimi un'azione globale coordinata per arrestare e invertire entro la fine del decennio la perdita di biodiversità in tutto il mondo, proteggendo in questo modo la nostra salute". 

"Il Living Planet Report raccoglie l’ennesimo Sos lanciato dalla Natura che, questa volta, i leader mondiali che si riuniranno (virtualmente) tra pochi giorni per la 75esima sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, non possono ignorare”.

Il COSTO DEL 'CRAC' ECOLOGICO - Gli impatti economici del declino della natura costeranno al mondo almeno 479 miliardi di dollari all'anno, raggiungendo fino a circa 10 trilioni di dollari entro il 2050, secondo il Wwf, il Global Trade Analysis Project e il rapporto Global Futures del Natural Capital Project. Secondo il Wwf la continua perdita di biodiversità minerà il raggiungimento della maggior parte degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, compresa la riduzione della povertà e la sicurezza alimentare, idrica ed energetica.

LE CAUSE DEL DECLINO DELLE SPECIE - La causa principale del drammatico declino delle popolazioni di specie terrestri sono la perdita e il degrado degli habitat, inclusa la deforestazione, influenzata anche dal modo col quale l’umanità produce cibo. Le specie in via di estinzione analizzate nella Lpi includono il gorilla di pianura orientale, il cui numero nel Parco Nazionale Kahuzi-Biega (Repubblica Democratica del Congo), ha visto un calo stimato dell'87% tra il 1994 e il 2015, principalmente a causa della caccia illegale, e il pappagallo cenerino in Ghana sud-occidentale, il cui numero è diminuito fino al 99% tra il 1992 e il 2014 a causa delle trappole usate per il commercio di uccelli selvatici e la perdita di habitat.

L'Lpi, che ha monitorato quasi 21.000 popolazioni di oltre 4.000 specie di vertebrati tra il 1970 e il 2016, mostra anche che le popolazioni di fauna selvatica che si trovano negli habitat di acqua dolce hanno subito un calo dell'84%, il calo medio della popolazione più netto tra tutti i bioma, equivalente al 4 per cento all'anno dal 1970. Un esempio è costituito dalla popolazione riproduttiva dello storione cinese nel fiume Yangtze in Cina, diminuita del 97% tra il 1982 e il 2015 a causa dello sbarramento del corso d’acqua.

"Il Living Planet Index è una delle misurazioni più complete della biodiversità globale", ha affermato il dott. Andrew Terry, direttore conservazione della Zoological Society of London.

Un calo medio del 68% negli ultimi 50 anni è catastrofico e una chiara prova del danno che l'attività umana sta arrecando al mondo naturale. Se non cambia nulla, le popolazioni continueranno senza dubbio a diminuire, portando la fauna selvatica all'estinzione e minacciando l'integrità degli ecosistemi da cui tutti dipendiamo. Ma sappiamo anche che agendo sulla attività di conservazione delle specie possiamo allontanarci da questo baratro. Servono impegno, investimenti e competenza per invertire queste tendenze”.

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