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Pesca: Greenpeace, metodi illegali e pescatori schiavi sulle barche del tonno

04 novembre 2015 | 12.57
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Metodi di pesca che stanno svuotando i nostri mari e violazione dei diritti di chi lavora a bordo dei pescherecci. La catena di produzione che porta il tonno nelle nostre scatolette è spesso tutt’altro che 'pulita'. E' la denuncia di Greenpece che pubblica oggi 'Quella sporca filiera', un report che indica nuove gravi violazioni dei diritti dei lavoratori su pescherecci tailandesi sulla base di testimonianze dirette raccolte lo scorso settembre nell’Isola di Ambon, in Indonesia.

"I trafficanti ci chiamavano 'palloni da calcio', per farci capire che eravamo sotto i loro piedi e potevamo essere spediti ovunque con un calcio, ma non potevamo andare da nessuna parte da soli", ha raccontato una delle vittime degli abusi. I pescatori venivano imprigionati, picchiati, privati del cibo e del sonno.

"Sono stato picchiato perché non ero forte come gli altri. Quando loro trasportavano blocchi di pesce congelato, io non ce la facevo, non ero abbastanza forte e veloce", racconta un altro. I pescatori intervistati hanno dichiarato che i pescherecci su cui erano stati imprigionati trasferivano tonno e altri pesci catturati su una nave frigorifera, la 'Marine one' di proprietà della compagnia tailandese Silver Sea Line Co. Ltd.

Solo pochi mesi fa, un'inchiesta di Associated Press aveva dimostrato come un'altra nave frigorifera della stessa compagnia fosse coinvolta nel trasbordo di pesce da imbarcazioni con lavoratori schiavizzati fino alla Thailandia, dove il pesce era stato acquistato da un fornitore diretto di Thai Union, il più grande produttore al mondo di tonno in scatola, proprietario del marchio italiano Mareblu.

"Queste inchieste dimostrano come la pesca sia gravemente corrotta da episodi di violazione dei diritti umani", dichiara Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia. "Non rassicura i consumatori il fatto che nonostante i gravi scandali in cui è stata coinvolta, Thai Union non abbia ancora bloccato ogni coinvolgimento con compagnie che, evidentemente, continuano a trasportare pesce macchiato da questi delitti. Non serve controllare solo i fornitori diretti, è necessario sviluppare precise misure lungo tutta la filiera per garantire di non essere assolutamente coinvolti in questo tipo di abusi".

Dopo l'inchiesta di Associated Press, Thai Union aveva infatti rotto ogni relazione commerciale con il fornitore diretto implicato nello scandalo, senza però - afferma Greenpeace - prendere serie misure rispetto alle compagnie coinvolte nel trasporto di pesce in navi frigorifere. Eppure, come denuncia il nuovo report di Greenpeace, sono proprio queste navi, con la pratica dei trasbordi in altura, a permettere ai pescherecci di rimanere in mare per anni, intrappolando i lavoratori in terribili condizioni di lavoro lontano da ogni controllo.

"Si tratta purtroppo di pratiche diffuse, non ascrivibili a un'unica impresa. Ma Thai Union, e il suo marchio Italiano Mareblu, hanno la responsabilità e il potere di cambiare davvero le cose. I consumatori sono sempre più sensibili ai temi sociali e ambientali. È ora di mantenere le promesse fatte", conclude Monti. Thai Union è il primo produttore di tonno in scatola al mondo, con un giro di affari di oltre tre miliardi di dollari. A inizio ottobre Greenpeace aveva lanciato una campagna globale per chiedere al gigante tailandese di investire in una pesca equa e sostenibile. In Italia, in pochi giorni, oltre 18mila persone hanno scritto a Mareblu per chiedere di mantenere le promesse fatte e usare solo tonno da una pesca sostenibile entro il 2016.

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