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Da Kaepernick alla questione turca, quando lo sport fa 'politica'

15 ottobre 2019 | 14.49
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Non solo Smith e Carlos, la storia è piena di gesti ribelli e messaggi fuori dagli schemi

(Foto Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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Un dirigente Nba che twitta il suo appoggio ai manifestanti di Hong Kong, un club che si schiera con gli indipendentisti catalani condannati al carcere, gli atleti che si dividono sull'offensiva della Turchia nel nord della Siria. Se spesso è la politica a invadere il campo dello sport, nelle ultime settimane si sta assistendo al fenomeno inverso. Dal caso del general manager degli Houston Rockets che ha generato un autentico caso diplomatico tra Cina e Nba, passando per la presa di posizione del Barcellona contro le sentenze del tribunale di Madrid ("La prigione non è la soluzione") fino ai saluti militari dei giocatori della nazionale di calcio turca o ai tweet dei 'ribelli' Hakan Sukur ed Enes Kanter, tutto il mondo dello sport sembra essersi improvvisamente 'politicizzato'.

Ma senza andare troppo indietro nel tempo, come ad esempio al pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos sul podio di Città del Messico oltre 50 anni fa, anche nella storia più recente dello sport non sono rari i casi di atleti, allenatori o dirigenti sportivi che prendono una posizione netta su questioni più 'grandi'. Gesti o parole che spesso, trattandosi proprio di sportivi, fanno molto più rumore nella società. E' ormai celebre il caso di Colin Kaepernick, l'ex quarterback dei San Francisco 49ers che nel 2016 ha iniziato a inginocchiarsi durante l'esecuzione dell'inno americano prima delle partite. Una forma di protesta contro le descriminazioni e le violenze della polizia nei confronti degli afroamericani negli Usa che ben presto ha fatto proseliti nel mondo Nfl e non solo. Con Kaepernick hanno solidarizzato diversi giocatori di altri sport, soprattutto della Nba, e l'ormai dilagante fenomeno del 'take a knee' ha indispettito non poco il presidente americano Donald Trump, che si è espresso più volte e con toni durissimi sulla questione ("I proprietari dovrebbero dire: prendete quel figlio di p...e toglietelo subito dal campo").

Dopo il caso Kaepernick, che nel frattempo ha ottenuto un risarcimento milionario dalla Nfl per la discriminazione subita, il presidente Usa ha però dovuto fare i conti con altre 'rivolte' sportive. Così se per primi i campioni Nba di Golden State hanno detto 'no' alla tradizionale visita alla Casa Bianca dopo la conquista del titolo non è stata da meno la star del calcio a stelle e strisce Megan Rapinoe che durante i Mondiali femminili si è rifiutata di cantare l'inno. Non sono solo gli atleti Usa, comunque, ad alzare la voce. Alle Olimpiadi di Rio de Janeiro anche l'azzurra della scherma Elisa Di Francisca si è resa protagonista di un gesto dal forte valore simbolico sventolando, dopo la vittoria dell'argento nel fioretto, la bandiera dell'Unione Europea per chiedere unità contro il terrorismo.

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