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Il ritorno a Roma dei giramondo in bici: "Qui troppe auto, abbiamo paura"

20 aprile 2020 | 12.47
LETTURA: 4 minuti

Simona e Daniele alle pendici del vulcano Cotopaxi, Ecuador
Simona e Daniele alle pendici del vulcano Cotopaxi, Ecuador

di Paolo Bellino
Hanno viaggiato per 6 anni partendo da piazza del Campidoglio salutati dal sindaco dell’epoca, Ignazio Marino, hanno pedalato 56.000 chilometri in 35 paesi di tutti i continenti Africa e Antartide esclusi, hanno lavorato per settimane in Australia, Canada, Messico e saltuariamente qui e lì, hanno vissuto ogni tipo di strada, e ora tornano “momentaneamente, per un anno forse” alla base: Roma.

Simona Pergola e Daniele Carletti sono due giovani capitolini, da sempre cicloattivisti e dal 2014 giramondo per vocazione e voglia di vedere cosa c’è oltre il Grande raccordo anulare: e malgrado il ritorno non fosse previsto a fermarli è stata la pandemia mondiale, hanno agguantato un aereo charter “per la fortuna di avere un ambasciatore che ha organizzato il viaggio di tutti da Lima a Roma, naturalmente a pagamento” e sono ritornati a Roma. Che città hanno trovato lo raccontano all’Adnkronos, una rara testimonianza della capitale vista con gli occhi di chi ci è cresciuto ma ora è una specie di alieno che sbarca sul pianeta X.

“Tutto fermo, ghiacciato nel tempo -dice Daniele-, è impressionante. È vero che abbiamo avuto solo 30 km circa da pedalare da Fiumicino a Boccea, dove adesso siamo in quarantena a casa di mia cugina, che nel frattempo è in campagna, ma siamo rimasti abbastanza sconvolti: con tutto il lockdown macchine dappertutto, in movimento o parcheggiate. Anche se per tornare dall’aeroporto abbiamo scelto un percorso plausibilmente sicuro, in una cinquantina di sorpassi ben due volte abbiamo rischiato di finire sotto le ruote. E la sporcizia sembra aumentata. Non che voglia fare l’italiano che parla male del suo paese e altrove è il paradiso, ma davvero per quel poco che abbiamo visto la nostra città ci sembra immobile nel tempo, niente è cambiato. Siamo terrorizzati dalle auto e dall'assenza di cambiamento”.

Eppure i due non sono timidi né in strada né altrove. Partiti a luglio 2014 si sono diretti a est pedalando fino a Singapore, Indonesia, Australia, un anno di lavoro e poi Canada, di nuovo in sella fino a Panama dove l’impenetrabilità della foresta tropicale li ha spinti a cercare un passaggio su una barca a vela, Cartagena de Indias, dopo la Colombia l'Ecuador e il Perù. Il piano era arrivare fino alla Terra del Fuoco e poi trovare un passaggio per l’Africa.

Niente da fare, stop: e forse a “salvarli” è stata la stagione delle piogge: “eravamo sulla Cordillera Blanca a 4.000 metri ma siamo stati costretti a fuggire, il diluvio -raccontano-. Ci siamo precipitati a Lima dove abbiamo degli amici, per aspettare il passaggio delle piogge stavamo organizzando una serie di incontri con gli attivisti locali per parlare delle nostre esperienze, di come abbiamo visto il mondo e di come bisognerebbe cambiare le nostre città. Lì a Lima, per esempio, adesso stanno costruendo 250 km di ciclabili temporanee per l’emergenza, sappiamo che ci si sta pensando un po’ dappertutto. Anche in Italia? Bene, sarebbe ora”.

Poi l’allerta e infine la chiusura del paese, come quasi tutti. “Abbiamo capito che, impossibilità a parte, non era più il caso di restare in giro: il viaggio è incontro, e in questo momento il mondo ha paura, saremmo stati fuori luogo, non ci andava più”. Dodici ore di volo e l’atterraggio a Fiumicino. “Riprese le bici, ho chiesto a un operatore dove fosse l’area per il rimontaggio -dice Daniele- e mi ha riso in faccia. Tutto chiaro. Ancora più chiaro verso casa: siamo tornati invisibili, i guidatori qui sembrano non avere coscienza delle presenze in strada, si comportano come se non esistesse niente, corrono come se dovessero scappare da un inseguimento.

Un ritorno aspro, "anche se la campagna romana è bellissima”. Voglia di ripartire? “Quello sempre -rispondono- e non per fuga. Adesso, come tutti, siamo alla finestra e osserviamo cosa succede. Qui sotto è un parcheggio, avevamo dimenticato quante macchine ci fossero a Roma. Una stranezza, rispetto a ciò che abbiamo visto ovunque. Ma quand’è che si cambia? Lo stanno facendo tutti”. Ancora un anno, stima a spanne (“l’emergenza sarà lunga”) e ripartiranno: c’è l’Africa davanti.

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