(Adnkronos Salute) - "Dal punto di vista del diritto - spiega Marta Tomasi, dottore di ricerca in Studi giuridici comparati ed europei alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento - l'aspetto più critico emerso da questa vicenda riguarda le evidenti difficoltà di comunicazione fra dimensione scientifica e dimensione giuridica. Il legislatore e alcuni giudici hanno dimenticato che la fondatezza scientifica rappresenta, come indicato ripetutamente dalla Corte costituzionale, un criterio irrinunciabile per garantire la legittimità delle decisioni adottate".
Secondo l'esperta, il diritto che si occupa della medicina e delle scienze della vita "non è autonomamente in grado di costruire certezze in senso astratto; compito di chi stabilisce e applica le regole in questo ambito è quello di rivolgersi alla scienza per individuare quale sia il grado di ragionevole certezza che essa indica come (temporaneamente) acquisito".
Per Tomasi, "pur riconoscendo la dimensione ampia e fortemente individuale che caratterizza la concezione di salute, la tutela di questo diritto non può prescindere da un saldo ancoraggio a un presupposto di ragionevolezza scientifica, fondato su regole e procedure riconoscibili e condivise. In caso contrario, il rischio inaccettabile che si corre è che siano i diritti delle persone, e non a caso quelli dei soggetti più vulnerabili, a uscirne sconfitti".