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Strage Bologna, perito Coppe: "Indagini scientifiche partite male, ripartire da zero"

31 luglio 2020 | 12.38
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"Se osservo tutte le stragi non vedo ipotesi su stragismo di Stato"

(Fotogramma)
(Fotogramma)

“Vedremo nelle motivazioni della sentenza che peso hanno avuto e come sono state utilizzate le nostre conclusioni, ma tutti sembrano ormai convinti che l’esplosivo utilizzato sia quello che abbiamo individuato noi, il Compound B usato negli armamenti angloamericani, e non quello che era stato individuato 40 anni fa, il che ha modificato le quantità e dunque anche il volume e il peso che si doveva portare dietro chi ha trasportato il materiale in stazione”. Lo dice all’AdnKronos di Danilo Coppe, il tecnico incaricato dai giudici del processo a Gilberto Cavallini, conclusosi in primo grado con la condanna all’ergastolo per concorso in strage, a redigere una nuova perizia sull’esplosivo che il 2 agosto del 1980 fece deflagrare la stazione di Bologna.

“Su basi statistiche e di opportunità – spiega Coppe - siamo anche giunti alla conclusione che non c’era un radiocomando, dunque il momento dell’esplosione non era stato scelto “in diretta”. La deflagrazione, però, può essere dipesa anche dal caldo eccessivo di quel giorno. La sciocchezza che si faceva in quegli anni, infatti, era quella di portarsi dietro un ordigno che contenesse già tutto, vale a dire l’innesco, la carica, la sorgente di energia per attivare l’innesco e questo non esclude l’ipotesi di un’accensione accidentale, visto che il calore rende più sensibile proprio l’innesco”.

Quanto all’interruttore trovato tra le macerie della stazione di Bologna, e che inizialmente si era ipotizzato potesse essere quello usato per la strage, Coppe spiega: “Non abbiamo potuto trovare riscontri su quell’oggetto tali da reputarlo sicuramente appartenente all’ordigno”. Per il perito, però, c’è ancora qualcosa che si potrebbe fare, ad esempio “per sgombrare ogni dubbio e tacitare oppure confermare l’ipotesi della 86esima vittima, occorrerebbe cercare i discendenti delle tre donne che erano state trovate senza faccia ed effettuare l’esame del Dna, visto che ora si ha il Dna della faccia che fino a un anno fa era ritenuta di Maria Fresu, ma che poi è stato stabilito non lo fosse”.

Il perito, però, è certo di non aver lasciato “nulla d’intentato, dato la natura del cold case, sono passati 40 anni, ma possiamo dire che a quel tempo si era presa una direzione, quella della gelatina da cava e del messaggio contenuto in quell’attentato, e non si sono cercate altre piste, trascurate e poi emerse”. E poi aggiunge: “Se osservo non solo la strage di Bologna, ma tutto il periodo degli Anni di piombo, un’idea su quanto è potuto accadere me la sono fatta anche al di là degli aspetti tecnici. E vedo le cose sotto l’aspetto del “bombarolo”, e non sotto aspetti politici o giornalistici, e quindi il famoso filo conduttore di tutto, il cosiddetto “stragismo di Stato”, non l’ho visto”.

Coppe poi rammenta: “Quando fui incaricato di fare il perito per la Corte d’Assise, avevo già pronto un libro che si intitola “Crimini esplosivi” e che uscirà ad ottobre, nel quale ripercorro la storia dell’uso criminale degli esplosivi dal 1500 fino ai giorni nostri. Ho fatto una ricerca a 360 gradi, ma se per scrivere il capitolo “Esplosioni criminali nel mondo” ho impiegato un anno, per quelle riferite all’Italia ci ho messo un’eternità. Ma posso dire che, dopo aver collaborato più volte con la polizia, i Ris, i servizi segreti, ho avuto accesso a materiali differenti rispetto a quelli pubblicati e divulgati, e alla fine sono giunto a trarre una conclusione terrificante che di certo solleverà un vespaio creandomi ancora più nemici di quelli che ho già, e la conclusione sta in un interrogativo: è meglio avere uno Stato in cui alcuni personaggi depistano, cercano di ostacolare le indagini, anche politicizzandole, oppure è meglio avere uno Stato in cui si affidano le indagini a persone incapaci? Perché da quello che ho percepito io, è più la seconda che la prima. Nello studio delle varie perizie che ho redatto, infatti, ho visto delle cose che nemmeno col manuale delle Giovani marmotte dell’investigatore sono state fatte. E questo mi ha disarmato. È come se un esperto di animali da cortile, vedendo una gallina fare l’uovo, dice che è cubico. Ho visto cose fuori da ogni criterio”.

Certo, aggiunge l’esperto, “uno potrebbe dire che in passato sono stati assoldati degli incapaci proprio per non arrivare a nulla, ma io a questa teoria non credo. Purtroppo ho visto che nei decenni degli Anni di piombo c’era un’incompetenza becera, crassa, e questo ha portato a non mettere insieme le prime cose che servono per fare un’indagine su una strage. Quando c’è un crimine, si sa che occorre trovare l’arma del delitto, il cadavere e il movente, ma se manca l’arma del delitto, sei già svantaggiato, e l’arma del delitto nel nostro caso sono gli esplosivi, che apparentemente fanno tutti bum e dunque sembrano essere tutti la stessa cosa, e invece ogni esplosivo ha il suo marchio di fabbrica, un suo modus di essere trovato, reperito, innescato e utilizzato, ma se invece partiamo con un’idea del genere, dove vogliamo andare? Mancano proprio le basi”.

Dunque, aggiunge Coppe, “molto spesso” i processi sulle stragi sono basati su informazioni errate, “e la strage di Bologna, parlo da un punto di vista tecnico-scientifico, non investigativo, è partita molto male all’inizio, e quando accade, correggere il tiro è sempre molto difficile, e non mi capacito come a suo tempo, con la profusione di risorse che c’erano, non si sia arrivati a trovare nulla riferito all’innesco”.

Poi Coppe precisa: “Io non mi permetto, nel mio ruolo di tecnico, di valutare le sentenze, assolutamente, ma ho visto che per tutte le altre stragi, non solo per Bologna, c’è stata una falsa partenza che ha portato a ignorare altre piste, altre strade, ci si è fissati su alcune”. Quanto alla possibilità di “raddrizzare le cose”, Coppe è certo che ci sia un unico modo: “Bisognerebbe cominciare da zero, sulla base delle risultanze scientifiche, solo scientifiche. I cold case si risolvono, qualcuno con più facilità, altri meno, ma varrebbe la pena di riaprirne altre di piste, e credo che anche sulla strage di Ustica ci sia ancora parecchio da dire dal punto di vista scientifico, non investigativo”.

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