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Immigrati: il racconto del soccorritore, il ritorno a Lampedusa una odissea

12 febbraio 2015 | 16.41
LETTURA: 4 minuti

Salvatore Caputo, infermiere dell'Ordine di Malta, era a bordo della motovedetta che ha intercettato il primo gommone e che è tornata a terra dopo quasi 30 ore di navigazione: "Il viaggio è stato una odissea, tutti avevamo paura. In quei momenti ti senti impotente. Ma nessuno di noi ha mai mollato"

 - Migranti su un barcone
- Migranti su un barcone

Quasi 30 ore di navigazione con mare forza 8 e onde alte come un palazzo di 3 piani: "Io sono tra quelli che hanno riportato a terra i 29 cadaveri. Sono cose che non si dimenticano, ti senti impotente a vedere dei ragazzi di vent'anni che ti muoiono tra le braccia". Salvatore Caputo, infermiere 66enne e volontario dell'Ordine di Malta imbarcato sulle motovedette della Guardia costiera che svolgono le operazioni di soccorso al largo di Lampedusa, racconta così all'Adnkronos il salvataggio dei migranti imbarcati sul primo dei gommoni naufragati nel Canale di Sicilia tra domenica e lunedì scorso.

"Appena arrivato a terra ho avuto una crisi di pianto e come me molti altri non hanno retto e sono crollati. Ora sto meglio, ma più passa il tempo e più realizzi quello che è successo", spiega Caputo. "Siamo partiti verso le 3 del pomeriggio di domenica dopo aver ricevuto l'allerta dalla centrale operativa, e siamo arrivati nei pressi del primo gommone verso le 20.30, a circa 130 miglia da Lampedusa". La situazione, riferisce, era davvero estrema, "con il vento che soffiava a 75 km orari e i ragazzi imbarcati sul gommone che si accalcavano e si calpestavano per salire a bordo per primi".

"Il più grande di loro - continua - non aveva trent'anni e gli altri erano tutti molto più giovani: non dimenticherò mai le facce di quelli che tiravamo a bordo, la gioia di sentirsi finalmente al sicuro", continua Caputo che ormai da diversi anni lavora come volontario per il Cisom, il corpo di soccorso dell'Ordine di Malta. "Dopo qualche ora, verso le 4-5 di mattina, il primo di loro non ha retto al freddo e agli sforzi del viaggio ed è morto" e così gli altri 28, nelle ore interminabili del viaggio verso le coste italiane. "In quei momenti ti crolla tutto addosso. La morte, la paura di un incendio a bordo o di una avaria, la consapevolezza che gli elicotteri non possono raggiungerti: la paura di non tornare a casa era forte per tutti, anche per noi soccorritori".

"I naufraghi guardavano i loro compagni di viaggio morire ed era chiaro che si immaginavano al loro posto", continua Caputo. Solo una volta arrivati a poche miglia dal porto di Lampedusa "è stato possibile iniziare la conta dei cadaveri". Abbiamo salvato 105 persone, "60 sulla nostra motovedetta e 40 circa sulla seconda, che ci ha raggiunto poco dopo. Noi siamo arrivati a terra verso le 4.30 di lunedì, la seconda motovedetta verso le 7". Dal mio punto di vista, osserva Caputo, "non ci sono soluzioni definitive per queste situazione, è così e basta. In questa ultima tragedia, per esempio, non credo che una nave molto grossa avrebbe potuto raggiungere i gommoni. Le motovedette sono mezzi efficaci, agili".

Il Cisom, nei giorni scorsi, ha inviato un team di psicologi "per aiutarci a superare questi momenti: ci insegnano a scaricare l'adrenalina, ci aiutano a sfogarci". Queste esperienze "sono impressionanti, mi sembra di aver vissuto una apocalisse. Qui siamo circa una decina dell'Ordine di Malta, tra medici, infermieri e volontari, e anche se qualcuno e stato davvero sconvolto da questa esperienza, nessuno ha mai mollato. Certo, ognuno ha la sua sensibilità e reagisce a modo suo, ma nessuno di noi abbandona, siamo subito pronti a iniziare di nuovo: io stesso mi sono reimbarcato ieri mattina".

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