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Roma: tra gaffe ed errori, per Marino due anni sulle montagne russe

30 ottobre 2015 | 18.33
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Sondaggisti: "'Lista Marino' non oltre il 10%"

Il Sindaco Ignazio Marino esce da un uscita secondaria del Campidoglio (Infophoto) - INFOPHOTO
Il Sindaco Ignazio Marino esce da un uscita secondaria del Campidoglio (Infophoto) - INFOPHOTO

Con la firma delle dimissioni di 26 consiglieri decretando così lo scioglimento del Comune di Roma si chiude l'esperienza Marino. Sono passati quasi due anni e mezzo da quel 12 giugno 2013, quando Ignazio Marino, a due giorni dalla vittoria alle urne per lo scranno più alto della Capitale, arrivò in Campidoglio per il passaggio di consegne con il suo predecessore e per l'insediamento. Due anni e 4 mesi passati sulle montagne russe, dal caso delle multe alla Panda rossa ai funerali dei Casamonica fino allo 'scontrini-gate'.

Oggi sembrano lontani anni luce i giorni in cui Marino arrivava sorridente in Campidoglio in sella alla sua bicicletta. Con lo scandalo di Mafia Capitale a fare sempre da sfondo, il primo cittadino è stato costretto a spostarsi in macchina, circondato sempre da quattro guardie del corpo. Pd e Palazzo Chigi mostrano sempre più insofferenza per il sindaco-chirurgo, un 'alieno' alla guida della Capitale. Il governo gli affianca il Prefetto Gabrielli e Marino, intervenendo all'assemblea dei costruttori romani, lo presenta come la sua ''badante''.

Il caso delle spese in cene sostenute con la carta di credito del Campidoglio è la goccia che fa traboccare il vaso: gli attacchi dell'opposizione sono poca cosa rispetto al gelo che arriva dal Pd e dal governo, che passa per le dimissioni degli assessori e del vicesindaco 'dem'.

Ma gli attriti con il Partito democratico erano già emersi a novembre 2014, con la scoperta che la Panda rossa del sindaco ha varcato varie volte la Ztl senza il permesso. Marino si difende, chiama in causa hacker informatici che si sarebbero intrufolati nella rete del Comune ma ammette anche che c'è stato un ritardo nel pagamento del permesso.

Passa circa un mese e nel pieno dell'inchiesta su Mafia Capitale, il sindaco afferma in modo categorico di non aver mai parlato con Buzzi. Nel giro di poche ore però spuntano le foto di Marino e dell'ex vicesindaco Nieri - alla fine costretto a dimettersi per far posto al Pd Causi - intenti a parlare con Buzzi nella sede della cooperativa '29 giugno' durante un incontro per la campagna elettorale.

Nel frattempo uno dei primi atti annunciati dal sindaco, diventa realtà: i Fori vengono chiusi al traffico delle auto private. In un primo tempo i commercianti della zona si ribellano ma nelle intenzioni di Marino c'è una radicale valorizzazione del parco archeologico urbano più grande del mondo. Via i camion-bar da davanti al Colosseo e controlli più rigidi da parte dei vigili contro abusivi e tavolino-selvaggio in Centro storico.

Il primo cittadino della Capitale però farà i conti presto con una vera piaga di Roma: i rifiuti. Con la chiusura della discarica di Malagrotta infatti, i romani si ritrovano sommersi dall'immondizia e l'azienda che dovrebbe occuparsene, l'Ama, non riesce a gestire il servizio in modo efficiente. Si arriva così alle foto dei maiali sorpresi a mangiare rifiuti dai cassonetti stracolmi di Boccea. Passeranno mesi e la situazione non accennerà a migliorare.

Tanto che dai quotidiani nazionali il degrado di Roma, in piena estate, arriva sulla prima pagina del 'New York Times'. Erba alta fino al ginocchio nei giardini pubblici, una metropolitana che procede a passo d'uomo, rallentata dallo scontento dei dipendenti, un aeroporto stipato e caotico a causa di un incendio. Mentre si susseguono gli arresti di funzionari pubblici che portano alla luce un'infiltrazione criminale nel governo della città. "Non tutti i problemi sono necessariamente colpa del sindaco Ignazio Marino , ex chirurgo la cui integrità resta senza macchia. Ma, cosa strana - si legge - a Roma, la sua correttezza non viene necessariamente considerata parte della soluzione".

Con l'estate appena trascorsa, per Marino cominciano mesi di autentica 'passione'. Anche i nervi iniziano a essere tesi. Intervenendo alla Festa dell'Unità, il sindaco sceglie di parlare alla pancia della platea e gridando, afferma che la destra ''deve tornare nelle fogne''. Un'uscita che lo costringerà di lì a poco a chiedere scusa in Aula durante la seduta del Consiglio comunale per la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024. Un mese dopo però ci ricasca. A margine della cerimonia per ricordare il bombardamento del quartiere di San Lorenzo, Marino si rivolge così a una donna che lo contesta: ''Signora, provi a far funzionare quei due neuroni che ha''. Passano due giorni e ancora una volta il sindaco si scusa: "Non avrei dovuto perdere la calma".

Per tentare di recuperare un po' di calma, il sindaco pensa bene di andarsene in vacanza ai Caraibi. Ma, come i romani sanno ormai molto bene, quando Marino lascia Roma, nella Capitale succede sempre qualcosa. Questa volta è una cerimonia per un funerale: è il 20 agosto e a piazza don Bosco, al Tuscolano, si celebrano le esequie di Vittorio Casamonica, capo dell'omonima famiglia spesso coinvolta in episodi di criminalità organizzata. Una cerimonia pacchiana con tanto di carrozza ed elicottero da cui vengono lanciati petali di fiori sui cieli di Roma.

Ma soprattutto, il sindaco è ancora in vacanza quando il governo deve decidere le misure da adottare dopo lo scandalo giudiziario di Mafia Capitale. Come ampiamente previsto viene scongiurato lo scioglimento del Comune ma Palazzo Chigi affianca il prefetto Franco Gabrielli a Marino . "La mia badante", lo chiama il sindaco intervenendo all'assemblea dei costruttori romani. Dalla platea però nessuno ride.

In ultimo, poi, il viaggio negli Usa, a Filadelfia, per seguire il Papa. Il Pontefice, cascando in una domanda a 'trabocchetto', afferma di non aver invitato il sindaco. Subito dopo però si scopre che il viaggio era legato a una conferenza all'università di Princeton e che il Comune ha speso diverse migliaia di euro.

L'opposizione va all'attacco e Marino, pensando di fare un gesto 'eroico', pubblica tutte le spese sostenute con la carta di credito del Campidoglio. Spulciando tutte le voci però, emergono alcune cene 'sospette', i cui risvolti vengono smentiti anche dalla Comunità Sant'Egidio e da alcuni ristoratori. La reazione del sindaco è improvvisata, per tentare di salvare il salvabile. Annuncia di voler 'regalare' a Roma i 20mila euro spesi con la carta di credito per rappresentanza. Una mossa che non piace né ai romani né al Pd.

Il giorno dopo, l'8 ottobre, Marino è costretto ad annunciare le dimissioni. "Dal lavoro fatto in questi anni passa il futuro di Roma. Una città che abbiamo liberato dal malaffare e dalla corruzione" scrive su Facebook. Dal Pd il 'gelo' è ormai totale, ai dem infatti non piace che Marino continui a parlare di sé come colui che si è opposto alla Mafia a Roma. Anche perché, indirettamente, mette in cattiva luce tutto il Partito democratico, che ormai è contro di lui.

A questo punto anche Orfini chiude tutti i ponti con il sindaco di Roma. "Alla luce di quanto emerso in questi giorni, il capitolo è chiuso. Avevamo il dovere di voltare pagina" e "lo dice chi più di tutti ha cercato di rilanciare l'azione dell'amministrazione" dice il presidente dem e commissario del Pd romano, stroncando sul nascere ogni ipotesi di ripensamento sulle dimissioni del primo cittadino: "Tra venti giorni ci sarà il commissario. Neanche prendo in considerazione altra ipotesi. Nessuno ha voluto la sua testa - assicura Orfini - E' finita perché si è rotto il rapporto con la città".

Anche l'asessore alla Legalità Alfonso Sabella, che ha sempre difeso Marino, si chiama fuori: "Il sindaco è una persona abbastanza intelligente per capire che in 20 giorni non cambiano le condizioni politiche che hanno reso non proseguibile la sua esperienza amministrativa". Così l'assessore alla Legalità di Roma Alfonso. Ormai la 'linea' è tracciata. "Le 'condizioni' che hanno determinato questo atto di sfiducia non credo possano cambiare in venti giorni" afferma il vicesindaco di Roma Marco Causi.

Dal web però parte un tam tam in difesa del sindaco con cui gli si chiede di ritirare le dimissioni. Una petizione viene lanciata su Change.org per far cambiare idea a Marino. La mobilitazione dai social network arriva in piazza e il sindaco dimissionario viene acclamato dai suoi sostenitori a Piazza del Campidoglio. Un bagno di folla per il primo cittadino che ringrazia i suoi supporter.

Il giorno dopo, il 12 ottobre, finisce il piccolo giallo in merito alle dimissioni annunciate ma non ancora ufficializzate, quando la presidente dell'Assemblea Capitolina Valeria Baglio annuncia di aver ricevuto la lettera con cui Marino comunica le proprie dimissioni. A questo punto parte il count-down dei 20 giorni, passati i quali le dimissioni diventano efficaci.

Intanto in Campidoglio arrivano i militari della Guardia di Finanza per acquisire i documenti riguardanti le spese del sindaco. Sindaco che decide di presentarsi spontaneamente in procura per spiegare tutto al pm Roberto Felici a cui è affidato il fascicolo sulle spese sostenute da Marino in qualità di sindaco, aperto a seguito degli esposti presentati da Fdi e M5s. Marino porta carte e documenti, si difende, nega l'accusa di peculato e nega che le cene degli ormai famosi scontrini siano avvenute con la moglie. Convoca una conferenza stampa per spiegare di essere stato ascoltato in procura come persona informata sui fatti e non da indagato.

Intanto, il giorno dopo, proprio a palazzo di giustizia, si apre il primo processo per mafia capitale e in aula si presenta, in rappresentanza del Comune di Roma, l'assessore alla Legalità Alfonso Sabella. Non si vede invece il sindaco, che aveva detto di voler partecipare con la fascia di sindaco.

A questo punto il sindaco inizia a valutare seriamente l'ipotesi di ritirare le dimissioni e annuncia anche che potrebbe correre alle primarie del Pd. In piazza del Campidoglio tornano i suoi sostenitori. "Questa piazza mi dà il coraggio e la determinazione di andare avanti", dichiara Marino affacciandosi al Campidoglio. E poi scopre le carte: "Mi chiedete di ripensarci e non vi deluderò" afferma prima di citare il suo personaggio storico preferito, 'Che' Guevara: "Siamo realisti, vogliamo l'impossibile".

Col Pd ormai lo scontro è frontale. "Spero che non ritiri le dimissioni" dice Orfini sottolineando che sarebbe una "strada incomprensibile". E il vicesindaco Causi parla di un "arroccamento privo di sbocco politico". Il sindaco dal canto suo spiega di non avere "nulla da chiedere né da negoziare con nessuno e per nessuno" e poco dopo arriva il gesto che tutti ormai aspettavano. Il primo cittadino ritira le dimissioni presentate il 12 ottobre. "Sono assolutamente pronto a confrontarmi con la mia maggioranza" afferma.

Ma il Pd ha già studiato da tempo l''exit strategy', nessuno infatti vuole passare per un confronto in Consiglio comunale così come sperato dal sindaco. Così il Nazareno ottiene la piena disponibilità dei suoi 19 consiglieri capitolini a dimettersi. Anche perché ci sono già altri 6 consiglieri di altri gruppi pronti al passo indietro per far cadere Marino.

Intanto c'è spazio anche per l'ultima 'gaffe' del sindaco. Già, perché si scopre che in realtà per lo 'scontrini-gate' Marino è indagato dalla procura di Roma con l'accusa di peculato. "Un atto dovuto" spiega il primo cittadino, ribadendo la massima trasparenza. A questo punto, però, dal Nazareno può partire l'attacco finale. "Devo prendere atto di aver dato mia lealtà ad un bugiardo" tuona l'assessore dimissionario ai trasporti Stefano Esposito. Durissimi i vertici dem, con il commissario Orfini e il capogruppo in Campidoglio Fabrizio Panecaldo che tirano dritto: "Roma volta pagina", "siamo uniti e determinati a dare alla Capitale da domani un nuovo inizio". I numeri per far cadere il sindaco ci sono e si preparano le dimissioni dei consiglieri per mandare a casa Marino.

Nell'ultimo atto ufficiale da sindaco, si chiude il cerchio del 'sindaco-marziano'. Marino cita le parole di Salvador Allende inaugurando una targa intitolata al presidente cileno, democraticamente eletto dal popolo e ucciso nel golpe di Pinochet. "Non mi sento un martire, sono un lottatore sociale che tiene fede al compito che il popolo gli ha dato. Nel 1973 io ero un giovane studente di medicina, il presidente Allende era medico egli stesso e ho il ricordo di una fotografia di quest'uomo. In quella fotografia dinanzi al palazzo della Moneda, egli aveva un elmetto in testa e un'arma che gli era stata donata da 'Che' Guevara. Voleva rappresentare - conclude il sindaco - la difesa estrema anche al costo della vita di qualcosa importantissimo per noi oggi e sempre: la democrazia e la libertà".

Poi passa al contrattacco: "Io mi chiedo perché di fronte a un sindaco che chiede un confronto in un luogo democratico" le forze politiche "utilizzano ogni strumento possibile" per impedire il confronto. Se c'è una tale determinata ostinazione che porta i consiglieri a sottrarsi al confronto - sottolinea Marino - ci sarà un motivo che a me sfugge. Certamente - conclude il sindaco di Roma - c'è stata un'ostinazione fortissima e determinata a persuadere i consiglieri, eletti dal popolo, a sottrarli al confronto con il sindaco. Ci sarà pure una motivazione che in questo momento mi sfugge".

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