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Agrigento: tratta di migranti, chiesto rinvio a giudizio di 33 persone

19 giugno 2015 | 20.49
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Una vera e propria tratta di esseri umana è stata scoperta dai Carabinieri del Reparto Operativo di Agrigento, guidati dal tenente colonnello Andrea Azzolini, che hanno condotto l'inchiesta coordinata dalla Dda di Palermo. Un'inchiesta avviata nel febbraio 2010 e conclusa nel gigno 2014 e coordinata dal Procuratore aggiunto Maurizio Scalia e dai pm Rita Fulantelli ed Emanuele Ravaglioli che hanno chiesto al gip di Palermo il rinvio a giudizio di 33 persone, tra cui sei cittadini italiani e 27 egiziani. Sono tutti accusati "di essersi associati tra loro in una organizzazione transnazionale con altri soggetti giudicati separatamente ed altri ancora in corso di identificazione, al fine di commettere più reati contro la persona ed in particolare delitti di tratta di persone, di sequestro di persona a scopo di estorsione e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina", come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio.

L’impianto investigativo attuato ha avuto modo di "documentare compiutamente le fasi relative ad alcuni sbarchi che sono avvenuti lungo le coste siciliane e in quelle calabresi", durante i quali sono state arrestate 36 persone a fronte del rintraccio di oltre 300 migranti. Le indagini "hanno dimostrato come questo gruppo criminale organizzato, abbia gestito una grossa parte del nuovo mercato delinquenziale, la cui genesi scaturisce dal continuo aumento di richiesta di emigrazione da parte di persone disperate che si danno alla fuga dai loro paesi per sottrarsi alla persecuzione o alla miseria, in conseguenza della persistente instabilità politica dell’area nord e del corno d’Africa", spiegano gli inquirenti.

Il "significativo picco degli sbarchi di immigrati nella provincia di Agrigento e in quelle della Sicilia sud-orientale e della Calabria negli ultimi anni, ha favorito il radicarsi di questa organizzazione criminale internazionale che, seppur strutturata per livelli gerarchico-funzionali, seguiva un modello reticolare fluido, basato su piccole unità flessibili, senza rapporti gerarchici al loro interno e senza rapporti durevoli, capace di gestire le tre maggiori fasi proprie del “trafficking”", dicono ancora gli investigatori, "il reclutamento dei migranti nei paesi d'origine, il loro viaggio attraverso il Canale di Sicilia, il trasferimento verso l’Italia del centro-nord, come destinazione finale, con dinamiche complesse e modus operandi differente a seconda delle aree regionali interessate alla destinazione".

Le risultanze investigative hanno evidenziato come una prima fase preparatoria dei viaggi si svolgeva appunto in Egitto, dove gli intermediari dislocati nelle varie regioni di quella Nazione procuravano le adesioni dei migranti, facendo da tramite con gli organizzatori. Le persone che intendevano migrare venivano concentrate in un centro di raccolta non molto distante da “Scanderia”, località che identifica la città di Alessandria d’Egitto, dove rimanevano in attesa di essere imbarcate alla volta dell’Italia, secondo un calendario di partenze che era legato a diversi fattori, quali le condizioni del mare e le attività di controllo operato dalle forze di polizia lungo le coste italiane. La seconda fase riguardava il trasbordo dei migranti che, una volta arrivati nelle acque territoriali italiane, dalla nave “madre” venivano trasferiti in abitazioni vicine alla costa interessata alla sbarco e vi rimanevano segregati sino a quando i loro parenti in Egitto non avessero versato l’intero importo pattuito per la traversata. Le evidenze investigative hanno messo in luce che i migranti, in entrambe le fasi, venivano sottoposti a episodi di coercizione o di minaccia per ottenere una assoluta sottomissione alla volontà dei trafficanti.

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