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Trattativa Stato-Mafia, processo d'appello: Dell’Utri per la prima volta in aula

24 maggio 2021 | 10.41
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In primo grado era stato condannato a 12 anni. Pg: "Incomprensibili omissioni guidate da logiche estranee a democrazia"

Trattativa Stato-Mafia, processo d'appello: Dell’Utri per la prima volta in aula

"Incomprensibili omissioni", rappresentanti dello Stato che si sono comportati "in modo opaco" e "certamente delittuoso" e "pupari" e "menti raffinatissime" che "hanno agito nell'ombra" per avviare una trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra per chiedere di fermare le stragi mafiose. Non usa giri di parola il sostituto procuratore generale di Palermo Giuseppe Fici che, nella prima udienza del processo d'appello trattativa Stato-mafia dedicata alla requisitoria, ribadisce con forza: "Chi ha agito fuori dalle leggi lo ha fatto per salvare un determinato assetto di potere e per tutelare il rapporto con la politica. Lo ha fatto facendo favori ai mafiosi, al di fuori dalle corrette dinamiche democratiche. E noi vogliamo sapere perché". Una domanda che aleggia da anni, già nel primo grado del processo. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudice scrissero che "L'improvvisa accelerazione che ebbe l'esecuzione del dottore Borsellino" fu determinata "dai segnali di disponibilità al dialogo - ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci - pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D'Amelio".

Alla sbarra, per minaccia a Corpo politico dello Stato, gli ex ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno e l'ex capo del Ros Antonio Subranni, l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri, che oggi per la prima volta è pesante in aula, i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà e il pentito Giovanni Brusca. Gli imputati, tranne Brusca per cui fu dichiarata la prescrizione, sono stati condannati a pene pesantissime. La Corte d'Assise d'appello ha, invece, dichiarato prescritto il reato di calunnia contestato a Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo. Per i giudici di primo grado un ruolo importante determinante sarebbe stato svolto anche da Marcello Dell'Utri: "Con l'apertura alle esigenze dell'associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell'Utri nella sua funzione di intermediario dell'imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992", scrissero nelle motivazioni.

Oggi la Procura generale, che prosegue sulla stessa linea dei pm di primo grado, è rappresentata dai sostituti Giuseppe Fici e Sergio Barbiera. "C'è qualcuno in quest'aula - ha detto Fici - che dopo avere letto e sentito le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, gli atti su via D'Amelio, dubiti dell'esistenza di soggetti che hanno agito nell'ombra? Nessuno, riteniamo noi, dubita dell'esistenza di menti raffinatissime, di 'pupari' che hanno agito nell'ombra con evidenti gravi condotte che appaiono non comprensibili e certamente non giustificabili". "Qui siamo di fronte a un sistema per cui bisogna credere per atto di fede - spiega Fici - Se ci venisse spiegato il perché del più grande depistaggio della storia o magari della restituzione dei cellulari a Giovanni Napoli, saremmo in grado di valutare e magari avviare una riconciliazione con chi invece chiede ancora oggi giustizia e verità. Invece, si preferisce tacere o dichiarare il falso piuttosto che raccontare la verità".

Fici sottolinea: "Da ciò che è emerso nel corso del lungo dibattimento possiamo ricavare una certezza: che negli anni un cui si sono verificati i fatti nella risposta al crimine organizzato da parte degli organi preposti qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto funzionare. Ci si riferisce, è bene essere espliciti, a comportamenti opachi e certamente delittuosi, da parte di appartenenti allo Stato di soggetti alcuni dei quali sono rimasti nell'ombra". "Durante la discussione finale on ripeteremo frasi come 'Fuori la mafia dallo Stato' - dice ancora Fici riferendosi allo slogan usato dai rappresentanti delle 'Agende rosse' che anche oggi sono in aula - ma è evidente che in questo processo sono emerse alcune scelte di politica criminale e alcune incomprensibili omissioni, guidate da logiche rimaste estranee al corretto circuito istituzionale, ovvero alle corrette dinamiche democratiche". "In un processo penale sono importanti i fatti provati e non le suggestioni e, tuttavia, è molto difficile restare del tutto insensibili a ciò che in questa terra si sa da decenni - prosegue il pg Giuseppe Fici - Si dice 'vox populi vox dei', espressione medievale che non si addice ai crismi del giusto processo, posto che le opinioni e i giudizi del popolo non possono essere ritenuti, in quanto tali, giusti e veri. E, tuttavia, come non tornare a quello che gridava con toni disperati una moltitudine di cittadini ai funerali di Falcone, Borsellino?".

"Come non ricordare la rabbia esasperata dei colleghi degli agenti di scorta uccisi nelle stragi di Capaci e in via d'Amelio? - prosegue il magistrato - Avevano intuito qualcosa evidentemente e avevano persino aggredito il Capo della polizia Parisi, rischiando che la rabbia travolgesse anche l'allora Capo dello Stato Scalfaro. "Chi ha agito violando le regole lo ha fatto per la salvezza di un determinato assetto di potere. Anche a costo di calunniare degli innocenti, distruggendo famiglie e seminando dolore e lo ha fatto al di fuori delle dinamiche democratiche. Noi invece vogliamo capire. Lo dobbiamo a tutti i familiari delle vittime", sottolinea ancora Fici. Il pg Sergio Barbiera ha incentrato la sua parte di discussione, che proseguirà nella prossima udienza, alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che sono stati sentiti nel corso del dibattimento. "L'escussione di numerosi collaboratori di giustizia ha ulteriormente rafforzato la ricostruzione fattuale e il già di per se granitico quadro probatorio", dice Barbiera.

In futuro, non dalla prossima udienza che si terrà il 31 maggio, ma da quella successiva, la requisitoria proseguirà nell'aula bunker del carcere Pagliarelli. Lo ha deciso il Presidente della Corte d'assise d'appello Angelo Pellino dopo le rimostranze del pg Fici a inizio udienza. "L'accumulo di anidride carbonica e di aria viziata è molto pericoloso, come dicono anche gli esperti. Chiedo che la prossima udienza venga fatta in un'aula diversa, più grande, dove si possano rispettare meglio le distanze sociali. Non vorrei che dopo un anno ci confondessimo proprio all'ultimo", lamenta Fici. "Credo che la cosa importante sia l'uscita dall'emergenza sanitaria, ma chiedo nelle prossime udienza un'aula più grande perché parleremo per cinque, sei ore di seguito", dice ancora Fici. Questa mattina già la Corte d'assise d'appello si era trasferita in un'aula diversa, più grande. Ecco la replica del Presidente Pellino a Fici: "In questa aula ci sono 40 persone cioè il limite previsto dalle norme, ma in futuro ci trasferiremo in aula bunker Pagliarelli", annuncia. (di Elvira Terranova)

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