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Uccise madre adottiva a Vercelli, Cassazione: "Non incidente ma atto criminale"

29 luglio 2022 | 16.50
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Le motivazioni della sentenza con cui lo scorso aprile i supremi giudici hanno confermato l'ergastolo per Caleb Ndong Merlo, delitto riconducibile a "forti tensioni in relazione genitoriale"

Uccise madre adottiva a Vercelli, Cassazione:

“Paola Merlo non è morta per una caduta accidentale. Il giudice di Appello ha approfondito con scrupolo estremo le cause del decesso, ordinando anche l’esecuzione di una perizia medico-legale” e la sentenza “recepisce il responso peritale, secondo cui le lesioni esibite dal cadavere furono il frutto di una deliberata aggressione di mano umana. Non si trattò di un incidente, ma di un atto criminale”. Lo scrivono i giudici della prima sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso aprile hanno confermato l’ergastolo per Caleb Ndong Merlo, italiano di origini camerunesi, accusato di aver ucciso la madre adottiva. L’uomo era stato condannato all’ergastolo in primo grado dalla Corte di assise di Novara, condanna poi confermata dalla Corte di Assise di appello di Torino nell’aprile dello scorso anno e che adesso, con la conferma della Cassazione, è diventata definitiva.

“Paola Merlo è stata aggredita in un orario compreso tra le 14 e le 14.30 del 10 luglio 2018 ed è morta poco dopo (…). L’attenta analisi dei flussi del traffico generato dal telefono dell’imputato – sottolineano i supremi giudici - mette in luce come l’imputato fosse presente nell’abitazione. La sentenza impugnata è netta nell’affermare che Merlo Ndong, dopo essere rientrato in casa poco dopo le 13, non ne uscì fino almeno alle 15.35; orario dopo il quale si allontanò, di poco e brevemente, al solo scopo di disegnare meglio il suo falso complessivo alibi”. Per la Cassazione “si evince come l’imputato, presente nell’abitazione assieme alla vittima, fosse l’unica persona ragionevolmente in grado di commettere il crimine. Nessuna intrusione di terzi, che non sarebbe rimasta senza tracce, fu infatti rilevata”.

Il delitto, per i supremi giudici, è riconducibile alle “forti tensioni nella relazione genitoriale, che il comportamento debosciato dell’imputato stava da qualche tempo determinando, nonché l’intimazione perentoria, che la vittima gli aveva rivolto mesi addietro, di trovarsi un lavoro entro la fine della primavera che, al tempo del delitto, era in realtà appena trascorsa”. Per la Cassazione infine, la sentenza di appello è completa e coerente, priva di aporie logiche, che resiste, sul punto dell’affermata penale responsabilità, alle doglianze residue, dall’esatta ubicazione dell’aggressione all’interno dell’appartamento, alle ragioni che potessero aver indotto l’imputato a dislocare dalla stanza da bagno la scala da cui sosteneva la madre fosse caduta, sino (…) all’insistenza dell’imputato rispetto all’autopsia”.

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