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Ucraina, parla Libbe HaLevy, reduce di Three Mile Island: "Minaccia nucleare reale e fa paura"

06 marzo 2022 | 13.27
LETTURA: 4 minuti

Ha vissuto il più grave incidente nucleare della storia Usa e le cambiò la vita. Cosa pensa del conflitto in corso? Che "quegli idioti potrebbero davvero distruggere il futuro della vita sul pianeta"

Ucraina, parla Libbe HaLevy, reduce di Three Mile Island:

Era il 1979 quando per Libbe HaLevy, originaria di Chicago, in viaggio dalla California a Middletown con degli amici che si erano appena trasferiti lì, iniziò l'incubo nucleare: quello di Three Mile Island, il più grave incidente nucleare della storia degli Stati Uniti. Un incubo che negli anni l'ha portata ad attivarsi per informare e sensibilizzare le persone sul tema del nucleare ma che oggi si ripresenta con la minaccia che accompagna il conflitto in Ucraina e riaccende in lei il terrore. "Cosa provo? Paura. Terrore represso. Quegli idioti potrebbero farlo davvero, distruggere il futuro della vita su questo pianeta", dice all'AdnKronos l'autrice del libro "Yes, I glow in the dark! One mile from Three Mile Island to Fukushima and nuclear hotseat", producer e conduttrice del podcast "Nuclear Hotseat" (nuclearhotseat.com).

"Non c'è neanche bisogno di arrivare al lancio di una bomba - sottolinea HaLevy - basterebbe danneggiare uno dei 15 reattori nucleari presenti sul territorio ucraino (così come di qualsiasi altro Paese), o lo stoccaggio del carburante 'esaurito' (che contiene ancora enormi quantità di plutonio), il sistema di raffreddamento... E' una follia. E' l'autodistruzione che immola il resto dell'umanità. C'è una ragione per cui il mio podcast si chiama Nuclear Hotseat, ed è perché siamo tutti, su questo pianeta, in una posizione scomoda per quanto riguarda il nucleare, nessuno escluso".

Libbe HaLevy rievoca la sua disavventura, quella che fu l'inizio di un lungo incubo ed occhi aperti e che oggi la lascia attonita e arrabbiata a fronte di quello che sta accadendo in Ucraina, come se dalla storia non si imparasse mai. Era dunque in viaggio con degli amici e si erano stabiliti ad appena un miglio dal reattore nucleare. "Per i primi due giorni - ricorda - abbiamo ignorato gli avvertimenti pensando che si trattasse solo di clamore mediatico, eravamo decisamente nella fase della negazione. Il terzo giorno, ero sola in casa quando un veicolo è arrivato dalla strada e dall'altoparlante intimava 'restate dentro e chiudete porte e finestre. Non uscire a meno che non sia necessario'. Ero sola, non avevo mezzi di trasporto, non conoscevo nessuno a cui chiedere aiuto, le linee telefoniche erano sovraccariche e smisero di funzionare".

"Non sapevo se quella cosa sarebbe esplosa da un momento all'altro, e avendo vissuto la Guerra Fredda con tutte le informazioni terrificanti sulle bombe atomiche, ho pensato di essere a un passo dall'Armageddon, senza via d'uscita. Sapevo anche dei rischi delle radiazioni ma non c'era modo di sapere a quante radiazioni ero già stata esposta. Per quanto mi riguardava, ero già morta. Poi, i miei amici sono venuti a prendermi. Dopo una settimana di evacuazione, l'aeroporto è stato riaperto, potevo tornare a casa. Nessuno di noi ha mai avuto figli, è stata una nostra decisione consapevole".

Tornare a casa non ha significato lasciarsi quell'incidente alle spalle. "Come mi ha cambiato la vita? L'effetto immediato è stato quello di uno stress post traumatico che mi ha resa incapace di pensare, agire, pianificare - spiega HaLevy - Non sapevamo a quali quantità di radiazioni eravamo stati esposti, forse ero già morta e stavo solo vivendo i miei ultimi giorni. Una parte di me la pensava così, immaginavo tutto ciò che mi circondava come un 'flash forward'. Un brutto sogno ad occhi aperti. Non riuscivo a lavorare, a scrivere, a pensare. Ho bevuto fino all'eccesso per l'unica volta in vita mia. Evitavo gli amici, vivevo isolata in casa, in un terrore esistenziale quotidiano. Un incubo. Le cose sono cambiate solo dopo più di un anno, quando ormai vivevo fuori dagli Stati Uniti senza alcuna intenzione di tornare".

Alla fine, negli Usa ci è tornata, "ma ben consapevole che tutto ciò che mi circondava, me compresa, poteva scomparire in un solo 'istante nucleare', e che ciò che avevo vissuto mi stava lentamente, invisibilmente uccidendo. Ho cercato di ignorare tutto ciò che riguardava il nucleare. Anche Chernobyl. Ora avevano tutti paura del nucleare? Era una paura che io avevo già vissuto, non volevo falo ancora". C'è voluta Fukushima per far scattare qualcosa in Libbe, una reazione che l'ha portata a impegnarsi sul tema con tutta se stessa. Oggi, con il suo lavoro, i libri, i podcast, il sito, cerca di fare in modo che le persone possano avere notizie e informazioni su tutto ciò che riguarda il nucleare e trovare supporto.

di Stefania Marignetti

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