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Umbria: il rapporto, manifatturiero centrale e strategico

19 febbraio 2015 | 10.20
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Rapporto economico e sociale regionale 2014.

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"La produzione manifatturiera, in un mondo sempre più terziarizzato e nonostante continui a subire i contraccolpi della pesante crisi di questi anni, conserva tutta la sua centralità e strategicità". E' quanto emerge dall’approfondimento sulla manifattura e i servizi avanzati in Umbria realizzato per il Rapporto economico e sociale dell’Umbria 2014 e illustrato ieri da Elisabetta Tondini, responsabile dell’Area processi e politiche economiche e sociali dell’Agenzia Umbria Ricerche.

"Manifattura e servizi avanzati -ha sottolineato Elisabetta Tondini- rappresentano rispettivamente il 15% e il 9% del valore aggiunto regionale al 2010, con differenze strutturali che si riscontrano già a partire dalla formazione della produzione e dalla destinazione delle risorse disponibili. Secondo le elaborazioni dei dati più recenti disponibili -ha ricordato- nel 2010, la produzione manifatturiera regionale è stata di circa 12 miliardi di euro, con il 48% di beni e servizi provenienti da fuori regione; l’offerta manifatturiera ha contato su ulteriori 11 miliardi di beni e servizi importati. Una dipendenza, ha rilevato, tipica dei sistemi di piccole dimensioni".

Gli impulsi generati dalla domanda aggregata manifatturiera sono riusciti a produrre, innescando effetti a catena, oltre il 30% del Pil regionale, circa 15 miliardi di euro: un impatto forte, che sarebbe ben più elevato se non fosse che oltre la metà dei benefici (circa 8 miliardi di euro) è andata a vantaggio delle altre regioni, quelle da cui l’Umbria dipende per l’approvvigionamento dei beni e servizi necessari alla produzione manifatturiera. Sul fronte occupazionale, la stessa domanda finale manifatturiera è riuscita a generare oltre un terzo delle unità locali della regione (il 33,6%, 125mila unità di lavoro).

Nel caso dei servizi avanzati (quali editoria, telecomunicazioni, servizi It, attività legali, consulenza di gestione, contabilità, studi di architettura, ricerca scientifica e sviluppo), l’offerta complessivamente disponibile in Umbria nel 2010 è stata di oltre 4 miliardi e mezzo di euro; per circa 3/5 è stata impiegata dal sistema locale. La domanda finale collegata ai servizi avanzati ha generato il 7,3% del Pil regionale (oltre 1 miliardo e mezzo e il 9% delle unità di lavoro (31.700).

"Dal confronto tra i due comparti -si legge- emerge che la domanda manifatturiera umbra riesce ad attivare quasi un quarto del valore aggiunto prodotto dai servizi avanzati umbri e il 37% delle unità di lavoro relative. Effetti di analoga portata vengono prodotti sul fronte dei servizi più tradizionali, a sottolineare la forza trainante che la produzione di cose esplica sul terziario. Lo sviluppo pretende contenuti sempre più ampi di conoscenza e innovazione: in questa direzione, la manifattura diventerebbe più competitiva e, anche attraverso una espansione della sua capacità esportativa, amplificate sarebbero le ricadute benefiche su tutto il sistema".

"Questo approfondimento è importante -ha rilevato il presidente dell’Aur, Claudio Carnieri- poiché fa luce sui flussi tra l’Umbria e le altre regioni, fornendo spunti alle politiche economiche e di filiera nei diversi comparti al fine di trovare nuove radici di nascita imprenditoriale". Francesco Musotti, dell’Università degli studi di Perugia, ha analizzato il comparto agroalimentare che, ha rilevato, "conserva un’ampiezza relativa superiore alla media nazionale come ammontare di produzione lorda, valore aggiunto e unità di lavoro nonostante abbia subìto un ridimensionamento dal 2000 al 2010".

"Molto elevato è il grado di apertura -ha avvertito- agli scambi con le altre regioni italiane e l’estero. Sia dal lato dello smercio, che da quello degli acquisti, la quota, rispettiva, dell’export (nelle altre regioni italiane e all’estero) e dell’import (sia dalle altre regioni che dall’estero) supera l’85%. Una quota altissima dipendente in parte dalle dimensioni piccole della regione, in parte da produzioni frammentate sul piano territoriale non meno che tecnicamente non collegabili".

Quanto al settore delle costruzioni, analizzato da Sergio Sacchi dell’Università di Perugia, "con un’incidenza del 7% sul totale del valore aggiunto prodotto in Umbria nel 2012 il comparto si conferma ancora oggi parte importante dell’economia regionale". "Se la crisi della finanza pubblica e le difficoltà delle famiglie hanno condizionato il mercato delle opere pubbliche e quello delle abitazioni, con una riduzione delle imprese attive, tuttavia, con 12.163 unità attive alla fine del 2013 il comparto continua a rappresentare quasi un quinto (il 18,8%) del totale delle imprese attive in Umbria", ha spiegato.

Altro settore strategico nelle politiche europee e regionali, quello delle fonti di energia rinnovabili. Lo studio è stato presentato da Paolo Polinori (Università di Perugia). "Per l’Umbria -ha chiarito- questo settore riveste un ruolo cruciale nelle politiche di sviluppo sebbene in un'ottica integrata in cui la razionalizzazione dei consumi e l’incremento dell’efficienza energetica hanno un peso determinante. C’è una forte dipendenza del tessuto produttivo regionale dall’input energetico, evidenziata anche dal consumo elettrico nazionale per addetto che in Umbria è pari a 1,75 quello nazionale".

"Circa il raggiungimento degli obiettivi del Pacchetto clima energia 20-20-20 -ha continuato- l’Umbria mostra un marcato dinamismo che fa assumere come assolutamente raggiungibili gli obiettivi di breve termine fissati dall’Unione europea: la politica energetica regionale e lo sviluppo della filiera industriale delle energie rinnovabili potrebbe consentire il raggiungimento dell’obiettivo del 13,7% di consumo energetico finale da fonti rinnovabili già prima del 2020, disegnando uno scenario che si attesterebbe sul 15%".

Altro comparto importante, quello delle industrie culturali e creative, analizzato da Andrea Orlandi (Aur). "In Umbria -ha aggiunto- insistono 5.465 imprese culturali e creative, il 25% delle quali industrie culturali in senso stretto e il 70% costituite dalle cosiddette imprese creative le quali producono la maggior parte della ricchezza dei sistemi produttivi culturali delle regioni della cosiddetta Terza Italia (compreso quello umbro), probabilmente perché più legate alla veicolazione culturale della tradizione manifattura di quei territori".

"Il sistema produttivo culturale umbro -ha rilevato ancora Orlandi- si caratterizza per la prevalenza della dimensione creativa e artigianale su quella propriamente culturale. Accanto a distretti più consolidati (l’editoria nel tifernate e la ceramica a Deruta e Gualdo Tadino), emerge ormai chiara la tendenza in molti piccoli comuni a specializzarsi nei settori ascrivibili alla cosiddetta 'Industria del gusto': a Bevagna e Amelia quasi l’80% degli addetti totali lavorano nella filiera dell’enogastronomia, a Nocera Umbra il 74%, a Umbertide, Castiglione del Lago, Orvieto il 64%".

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