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Uno Bianca, Eva Mikula: "Io diffamata e presa a schiaffi in faccia"

19 dicembre 2020 | 17.00
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Eva Mikula ai tempi del processo (Fotogramma)
Eva Mikula ai tempi del processo (Fotogramma)

di Silvia Mancinelli

"Sono stata io a mettere gli investigatori sulle tracce degli assassini, perché fino a quando non ho chiamato in Ungheria dalla casa dove vivevo con Fabio Savi non avevano nulla in mano. Eppure ho subito sette processi dai 19 ai 24 anni, un accanimento giudiziario senza pari. Ho tentato un lungo percorso di avvicinamento ai parenti delle vittime ma ho avuto solo schiaffi in faccia. Da tutte queste porte chiuse ho deciso, a ottobre scorso, di raccontare la mia verità. Per 25 anni mi sono eclissata, volevo solo allontanarmi da quel caos giudiziario che mi ha rovinato la vita". A parlare all'Adnkronos è Eva Mikula, l'ex compagna di Fabio Savi, che insieme ai fratelli Roberto e Alberto Savi faceva parte della famigerata 'banda della Uno bianca'.

A gennaio uscirà in formato digitale un libro in cui la donna, oggi 45enne, si scrolla di dosso le accuse. "La gente è convinta che io sia stata assolta perché ho collaborato - continua - Sono stata processata per tutti i capi di imputazione possibili e sempre assolta, accuse che venivano proprio dai Savi che mi accusavano di aver collaborato. Si sono sentiti traditi e mi hanno accusato di cose infondate. Inutile poi anche la loro successiva ritrattazione, perché i processi continuavano ad andare avanti. Sono stata trascinata in questo vortice infamante dal loro desiderio di farmi pagare l'aiuto dato agli investigatori. Io sono stata assolta per non aver commesso il fatto, sono stata portata alla sbarra fino in Cassazione".

"A me questa storia ha condizionato la vita, inserirmi nella società italiana con questo marchio a fuoco non è stato facile - spiega Mikula - ero provata, non ho mai avuto il sostegno di nessuno, tranne di chi mi ha conosciuto di persona nel privato. Ho ricevuto diffamazioni, cattiverie, sono stata sbattuta sui giornali senza motivo. Avevo 16 anni quando ho conosciuto Fabio Savi, ero una ragazzina, lui mi raccontava di essere un camionista, di avere le armi perché aveva il regolare porto, quando ho messo insieme i frammenti dei suoi racconti, quando tutto mi è stato chiaro ho fatto quella telefonata in Ungheria chiedendo aiuto per poter fuggire. Non ero poi cresciuta molto, ne avevo appena compiuti 19: sono stata picchiata. I fratelli di Savi volevano uccidermi perché ai loro occhi ero diventata un testimone".

"Una ragazzina innamorata della persona sbagliata, che per questo continua ad essere associata alla banda", dice di lei il giornalista e scrittore Massimiliano Mazzanti, che ha dedicato diversi libri al caso della Uno Bianca.

"Non avevo nessuno, ero da sola contro il mondo. Nemmeno i genitori, ero solo un nome che faceva paura. Mi sono sentita dire che devo vergognarmi - conclude l'ex compagna di Savi - Ora basta. Rimettermi in gioco non è certo facile, scrivere il libro ha significato tirare fuori pensieri e ricordi schiacciati nel tempo per riprendere a vivere. Ora la gente deve sapere anche la mia verità, cosa ha significato subire ingiustamente sette processi a quell'età. Non voglio che i miei figli possano vedere ombre sul nome della madre. Per carità, ognuno è libero di pensare ciò che vuole, ma è giusto che sappiano anche la mia verità".

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