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Usa: Primanni, dazi sono monito, vero bersaglio è Germania

31 marzo 2017 | 12.01
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Maurizio Primanni
Maurizio Primanni

"Al momento, si sta parlando di dazi per brand molto celebri, piuttosto che per specifici settori produttivi. Ciò, a mio avviso, è un messaggio, un monito, più che la volontà di determinare nuove politiche industriali. Ove poi tali interventi fossero estesi su scala più ampia, dobbiamo comunque considerare che i dati dello U.S Department of Commerce indicano l’Italia all’undicesimo posto tra i maggiori esportatori verso gli Usa, quindi qualche effetto ce lo dobbiamo aspettare. Tuttavia, ritengo che il problema delle relazioni commerciali con gli Usa vada affrontato e risolto in chiave Ue e la Germania ha molto più da perdere di noi". Così Maurizio Primanni, esperto di economia e finanza, che ha lavorato a lungo negli Usa, e oggi Ceo di Excellence Consulting, società di consulenza del settore bancario, commenta, con Labitalia, l'ipotesi che l’amministrazione Usa imponga dazi del 100% a prodotti 'made in Ue'.

"La Germania - ricorda - è il maggiore esportatore dei Paesi Ue verso gli Usa, con un valore complessivo di oltre 114 miliardi di dollari, molto superiore a quello dell’Italia che è pari a circa 45 miliardi. Oltre alle ragioni politiche - tutti abbiamo visto la freddezza con cui Trump ha ricevuto la cancelliera Angela Merkel alla Casa Bianca - la Germania ha un saldo di bilancia commerciale (export-import) verso gli Usa di quasi 65 miliardi di dollari, terzo in graduatoria rispetto a Cina e Giappone e addirittura superiore a quello del Messico".

"Credo che il neopresidente - avverte - avrà una particolare attenzione per i paesi con tale saldo particolarmente favorevole verso gli Usa ed è come se avvisasse la Germania: 'Preparati a rinegoziare. Gli accordi politici con gli Usa passano anche da quelli commerciali'”.

"Non dimentichiamo - prosegue Primanni - che Trump è un ex imprenditore e, se nell’arte della concertazione politica ha sicuramente delle aree di miglioramento, nell’arte negoziale bilaterale avrà una significativa esperienza da mettere sul campo. In tal senso, è come se avesse fatto la prima mossa. Penso che alla fine di questo processo negoziale, la Germania, che nel 2016 ha già visto ridursi il proprio export verso gli Usa di circa 8,5%, dovrà rassegnarsi a esportare un po’ meno oltreoceano".

E l'esperto non ha dubbi: "L’Ue può competere con gli Stati Uniti sia in termini di produttività del lavoro che di capacità di ingegno. Tenuto conto anche della situazione di stagnazione economica che caratterizza il suo mercato domestico, non deve scendere nel terreno dell’isolazionismo economico, ma rilanciare con una proposta di politica economica ancora più liberistica. Deve togliere i vincoli sui prodotti americani e aumentare la capacità competitiva delle proprie imprese attraverso una serie politica industriale che valorizzi le competenze distintive di ciascun paese Ue". Secondo Primanni, comunque, quella di Trump sarebbe una decisione "coerente e spiegabile con quanto promesso dal presidente americano ai suoi cittadini durante la campagna elettorale: riportare il lavoro negli Usa".

"Questo è un punto fisso della politica di Trump, un passaggio essenziale - sottolinea - del suo 'Make America great again'. Non a caso, in questi giorni Trump ha riaperto due miniere di carbone rinnegando le decisioni di Barack Obama sull’ambiente, pur di rappresentare all’opinione pubblica che la sua priorità è creare occupazione e valore aggiunto per la nazione. Da non dimenticare che, nel caso Trump riesca a far passare la propria riforma fiscale, l’abbinata dazi più condizioni fiscali favorevoli alle imprese potrebbe incentivare le imprese con livelli di export importanti negli Usa a delocalizzare le loro produzioni negli stessi Stati Uniti", conclude.

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