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Vaccino Covid, ipotesi terza dose: per esperti "molto probabile"

05 maggio 2021 | 13.49
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Da somministrare a novembre a sanitari e over 80

(Fotogramma)
(Fotogramma)

Cresce l'ipotesi di una terza dose del vaccino anti-Covid da somministrare a novembre a sanitari e over 80, i primi ad aver fatto le vaccinazioni. Dopo che Pfizer/BioNTech ha parlato di un probabile richiamo a 6-12 mesi dopo la seconda dose - e da lì in poi di un richiamo annuale - scienziati e esperti sono concordi nel consigliare un'ulteriore inoculazione, anche se per alcuni è una decisione che va presa sulla base dei dati clinici.

PREGLIASCO

"Un ulteriore richiamo del vaccino anti-Covid", con la terza dose "era già previsto. I dati sono ancora da confermare rispetto a quella che è la durata della protezione, in più vediamo che la malattia dopo sei mesi in qualche caso determina già la reinfezione e quindi ci sta che possa esserci questa necessità nei soggetti più a rischio e nei soggetti più esposti", dice all'Adnkronos Salute il virologo Fabrizio Pregliasco, docente dell'Università di Milano. "Credo che ci sia anche la possibilità - sottolinea Pregliasco - di un vaccino aggiornato. Bisognerà vedere i tempi di autorizzazione di tale vaccino, perché come succede per l'influenza c'è una verifica seppur più limitata".

MASTROIANNI

"La terza dose" di vaccino anti-Covid "a fine anno per gli operatori sanitari e gli anziani credo che sarà molto probabile. Però andranno anche analizzati gli studi in corso, valutate le varianti virali in circolazione, verificato il titolo anticorpale a 5-6 mesi dalla seconda dose e che tipo di situazione epidemiologica avremo a novembre-dicembre". Lo afferma all'Adnkronos Salute Claudio Mastroianni, direttore del Dipartimento di Malattie infettive del Policlinico Umberto I di Roma. "Dobbiamo ricordarci che il V-Day in Italia è stato a fine dicembre 2020: i primi medici e infermieri quasi sicuramente dovranno fare un richiamo a un anno dal vaccino", suggerisce l'infettivologo.

BASSETTI

"Sulla possibilità di fare una terza dose del vaccino anti-Covid sarei cauto. Non abbiamo dati certi su quando farla dalla prima: 6 mesi o 12 mesi? Sarebbe meglio aspettare dati certi sulla durata dell'immunità e poi capire come muoversi. Per i medici e operatori sanitari significherebbe fare una terza dose a fine novembre e dicembre". Così all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova e componente dell'Unità di crisi Covid-19 della Liguria.

GISMONDO

Mancano le basi per potersi esprimere secondo evidenza a detta di Maria Rita Gismondo, microbiologa dell'ospedale Sacco di Milano. "In questo momento non ha alcun fondamento scientifico né dire che una terza dose di vaccino anti-Covid si debba fare, né dire che non si debba fare"."Il richiamo - sottolinea l'esperta all'Adnkronos Salute - si fa quando si ha la certezza scientifica che siano calati gli anticorpi" stimolati dall'iniezione-scudo. "Non abbiamo ancora i dati dell'immunità acquisita, né i dati sul periodo di tempo in cui viene mantenuta", fa notare la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze del Sacco. Un eventuale richiamo "potremo deciderlo più in là, quando saranno passati 7-8 mesi o forse anche più" dal primo ciclo vaccinale, stima Gismondo.

ANDREONI

La necessità di dover fare una terza dose di vaccino anti-Covid "è quasi certa. Dobbiamo solo capire se andrà fatta entro 12 mesi dalla prima. Ricordo che i medici e gli operatori sanitari li abbiamo iniziati a vaccinare a fine dicembre 2020. Le proiezioni della durata dell'immunizzazione ci dicono che dovrebbe durate fino a 12 mesi, dovremmo per aver maggiori conferme per programmare questa terza dose che rischia di complicare anche la campagna vaccinale", evidenzia all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma.

MENICHETTI,

"Una terza dose di vaccino" contro Covid-19 "potrebbe essere un'ipotesi se ricorrono due condizioni: un clamoroso calo del livello degli anticorpi neutralizzanti protettivi indotti dal vaccino, documentato da test sierologici, o la emergenza preponderante di varianti scarsamente responsive al vaccino come la brasiliana, la sudafricana e la tanto temuta variante indiana", commenta il virologo Francesco Menichetti, primario di Malattie infettive all'ospedale di Pisa. "Per me - sottolinea - avrebbe più senso lavorare su una dose di richiamo aggiornata, perché se uno deve rifare gli stessi vaccini di cui si ha disponibilità ora qualche perplessità ce l'ho. Invece la possibilità di disporre a breve di versioni aggiornate dei vaccini, soprattutto quelli a Rna messaggero che sono i più flessibili e i più rapidamente modificabili, sarebbe meglio".
Un richiamo col vecchio vaccino, precisa Menichetti, "deve essere una scelta sostanziata da una verifica serie dei livelli anticorpali. Perché - spiega il virologo - se è plausibile che negli over 80 la risposta al vaccino sia modesta e di durata limitata a causa dell'età che attenua l'entità della risposta immunologica, nel personale sanitario che mediamente ha un'età più bassa grossi problemi non ci dovrebbero essere, considerando che questi vaccini non inducono solo anticorpi neutralizzanti, ma creano anche la memoria immunologica che è quella espletata dall'immunità cellulare che quando ri-incontra il virus si ricorda e scende in campo. Quindi - conclude - piuttosto che aprire un dibattito, organizziamoci per controllare magari su un campione significativo i livelli di protezione immunitaria".

MAGA (CNR)

"Il richiamo di un vaccino ha sempre senso se ci sono evidenze che l'immunità può indebolirsi. Se, ora, con l'accumularsi dei dati che provengono dalla campagna vaccinale dovesse emergere un possibile rischio di abbassamente dell'immunità o se si dovesse presentare qualche ceppo virale particolarmente resiliente alla vaccinazione, il richiamo potrebbe essere giustificato. Ma tutto dipende dai dati", ha spiegato all'Adnkronos Salute il virologo Giovanni Maga, direttore dell'l'Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia. "E' una decisione - ribadisce Maga - che va presa sulla base dei dati clinici, non senza un presupposto. Per il momento non ci sono dati che sembrino indicare la necessità di un richiamo, ma è una possibilità. E, nel caso, sarà una raccomandazione da seguire se verrà data".

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