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Coronavirus

Vaccino Johnson & Johnson, servirà una seconda dose?

13 aprile 2021 | 12.48
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Il prodotto monodose a breve in Italia, ma il quadro potrebbe cambiare

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Vaccino Johnson & Johnson in arrivo in Italia. Rispetto ad AstraZeneca, Pfizer e Moderna, il prodotto si presenta come monodose, ma il quadro forse potrebbe cambiare. A spiegare perché a 'Buongiorno' su Sky Tg24 è Armando Genazzani, membro del Committee for Medicinal Products for Human Use (Chmp) dell'Agenzia europea del farmaco Ema. "Non metterei troppo accento sul fatto che J&J sia un vaccino monodose", ha infatti spiegato l'esperto, sottolineando come "al momento", il vaccino anti Covid di Janssen "è stato studiato come vaccino di cui si dà una singola dose e sappiamo che dà una protezione 14 giorni dopo la somministrazione". Tuttavia "non sappiamo quanto duri. Potrebbe benissimo essere che serva un richiamo in seguito, ci sono degli studi che lo stanno valutando. Intanto possiamo cominciare a vaccinare, però".

Mix di vaccini per la seconda dose?

"Personalmente consiglierei di aspettare i dati prima di farlo", ha poi aggiunto Genazzani sulla possibilità di utilizzare vaccini anti Covid diversi per la prima e la seconda dose. "Al momento - sottolinea il farmacologo - non abbiamo dati in merito. Ci sono alcuni Paesi, come la Germania, che stanno studiando di poter usare" un vaccino ad "adenovirus come prima dose e un vaccino a mRna come seconda dose. Vi è una plausibilità biologica che il richiamo possa funzionare, ma non abbiamo dati".

Richiami Pfizer e Moderna prolungati, è giusto?

"In Ema e Aifa riteniamo che gli intervalli studiati negli studi clinici" fra la prima e la seconda dose dei vaccini a mRna, pari a "21 e 28 giorni, siano quelli ottimali perché su quelli abbiamo dei dati", ha spiegato ancora il farmacologo in merito all'ipotesi di ritardare il richiamo per i vaccini di Pfizer/BioNTech e di Moderna. "Negli studi clinici non sempre è possibile fare il richiamo il giorno esatto e ci sono pazienti che sono stati trattati un po' più a lungo o meno - spiega il farmacologo - Ci sono anche pazienti che sono stati trattati a 42 giorni. Dal punto di vista scientifico - sottolinea Genazzani - non penso che arrivare a 42 giorni tra due dosaggi debba diventare la norma, ma credo che sia possibile".

"Al momento oltretutto, da un punto di vista di plausibilità biologica, l'allungamento della dose potrebbe portare addirittura a un aumento della risposta anticorpale. Non deve diventare la norma - ribadisce l'esperto - ma in un momento difficile in cui non sappiamo quando arriveranno le dosi, possiamo cominciare, poi se arrivano le daremo nel tempo giusto".

Immunità di gregge, quando?

"Può essere che tra giugno e settembre raggiungeremo l'immunità di gregge", le parole di Genazzani. Un'immunità raggiungibile in Italia entro questi tempi, secondo il farmacologo, a patto che "AstraZeneca, Pfizer, Moderna e J&J riusciranno a mantenere le quote e le dosi che sostengono di poter produrre. Credo che il piano del presidente del Consiglio Draghi possa essere un successo. Inclusa la bella stagione che sta arrivando".

Varianti, serve un richiamo ad hoc?

"Le varianti" di Sars-CoV-2 "sono sicuramente un pericolo. Può essere che vi saranno delle varianti che riusciranno a scavalcare i vaccini e potremmo avere un richiamo con un vaccino diverso. Può essere che i vaccini perdano un po' di efficacia con le varianti e che sia necessario fare richiami con vaccini ad hoc che coprano anche le varianti", ha detto ancora Genazzani commentando uno studio di Israele secondo cui il vaccino di Pfizer risulterebbe meno efficace contro la variante sudafricana. "Fare uno studio con 400 pazienti è molto poco per dire quanto è la protezione vaccinale su una variante. Non baserei nessuna scelta su uno studio di 400 pazienti", precisa il farmacologo nel merito. In generale, sottolinea, "più in fretta vacciniamo e meno le varianti riusciranno a emergere e quindi a circolare".

Nuovi vaccini, cosa farà la differenza

"Al momento abbiamo tre vaccini" anti-Covid "in rolling review - Sputnik CureVac e Novavax - e tutti e tre ci auguriamo arrivino quanto prima. Finché non sono stati sottomessi tutti i dati, non possiamo fare previsioni su quando potremo avere un'opinione. C'è da dire che non sarà il numero di vaccini, ma il numero di dosi, che farà la differenza", ha spiegato ancora. "E' più plausibile - sottolinea il farmacologo - che i 4 vaccini che abbiamo riescano ad aumentare la loro produzione nei prossimi 2 mesi. Mi immagino che la principale campagna vaccinale avverrà con questi 4 vaccini". Ciò premesso, "più vaccini abbiamo e meglio è - evidenzia Genazzani - Ci sarà più concorrenza e potremo addirittura fare scelte sui vaccini che preferiamo, ma al momento farei affidamento su questi 4".

Monoclonali, il punto

Sul fronte dei farmaci per la terapia di Covid-19, Genazzani spiega come "qui siamo un po' più indietro" rispetto ai vaccini. "Abbiamo almeno un paio di farmaci - sottolinea l'esperto - che sappiamo possono migliorare la prognosi dei pazienti in ospedale, il remdesivir e i corticosteroidi. Cominciamo ad avere delle combinazioni di anticorpi che nei pazienti ad altissimo rischio che hanno contratto il Covid potrebbero essere utili per ridurre l'impatto in ospedale. C'è ancora qualche problema organizzativo, perché sono farmaci che devono essere dati endovena e perché, finché non riusciamo a predire quali pazienti possono progredire, dovremmo darli a troppe persone".

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