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Vaiolo scimmie, virologo avverte: "Indagare animali, forse serbatoi locali"

24 maggio 2022 | 18.10
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Il precedente ricordato da Pasquale Ferrante: "Nel 2003 negli Usa è successo". L'esperto dice "no allo stigma" sui contatti sessuali. Ma il virus è mutato? "Improbabile". Il vaccino esiste, "valutare approvvigionamento"

(Afp)
(Afp)

Non solo "contatti interpersonali molto stretti fra persone". All'origine del numero crescente di casi di vaiolo delle scimmie che sta allarmando le autorità sanitarie internazionali "potrebbe esserci anche un'altra possibilità: che ci sia un'infezione in qualche animale serbatoio non più soltanto africano, ma anche 'locale', per esempio un roditore". Un'ipotesi che "al momento si può solo azzardare", ma che appare realistica al virologo Pasquale Ferrante, professore alla Temple University di Philadelphia negli Usa, direttore sanitario e scientifico dell'Istituto clinico Città Studi di Milano. In un'intervista all'Adnkronos Salute, l'esperto invita a "indagare", con il coinvolgimento "dei colleghi veterinari, oltre che dei virologi esperti di virus umani".

"Sicuramente è una pista da seguire", avverte Ferrante all'indomani dell'allarme lanciato ieri dall'Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie: "Se si verifica la trasmissione da uomo ad animale, e il virus del vaiolo delle scimmie si diffonde in una popolazione animale, c'è il rischio che la malattia possa diventare endemica in Europa", hanno avvertito ieri gli esperti in una valutazione del rischio 'monkeypox'. Potrebbe dunque già essere successo che un 'nostro' animale sia stato infettato e sia diventato serbatoio? "Se è successo non lo so", risponde lo specialista che però ritiene corretto il monito Ue. "So di certo, infatti, che un episodio pregresso ce l'abbiamo".

"Nel 2003 - ricorda Ferrante - negli Stati Uniti furono osservati 47 casi di vaiolo delle scimmie tra gli uomini, sia confermati sia sospetti, e all'epoca accadde che in alcune zone degli Usa erano stati importati dei roditori direttamente dall'Africa, successivamente entrati in contatto stretto con roditori locali. Il monkeypox arrivò così al cosiddetto cane della prateria, un grosso topo che vive nelle zone desertiche e semidesertiche del sud, sud-ovest degli States, e passò agli uomini". Anche alla luce di questo precedente, "sarebbe opportuno cominciare a raccogliere elementi - esorta il virologo - e verificare un possibile coinvolgimento di roditori locali. La preoccupazione dell'Ecdc è grossa - precisa Ferrante - perché noi abbiamo moltissimi animali che sono potenzialmente suscettibili al vaiolo delle scimmie, anche i cani. Può essere una cosa di cui tenere conto, ma va studiata facendo le opportune indagini".

TRASMISSIONE SESSUALE - "No allo stigma" nei confronti di gruppi sociali o abitudini sessuali. Se c'è "un punto fermo" da cui partire nell'analizzare i casi di vaiolo delle scimmie che stanno aumentando in un numero crescente di Paesi, è questo secondo Ferrante.

"Il rapporto sessuale favorisce la trasmissione di moltissimi agenti, anche non noti per essere sessualmente trasmessi - spiega l'esperto - perché chiaramente, se una persona ha un'infezione in atto, soprattutto con il virus nel sangue, a livello delle mucose ci può essere trasmissione. In questo caso, però - precisa - è abbastanza evidente che la fonte principale di infezione sono le famigerate 'droplets', le goccioline di saliva anche abbastanza corpose che emettiamo in formato aerosol mentre parliamo, quando starnutiamo o tossiamo, mentre ci baciamo. Quindi può darsi anche", tiene a puntualizzare Ferrante, "che sia una concomitanza senza un rilievo particolare quella di avere osservato i casi di 'monkeypox' in questi gruppi di persone", prevalentemente maschi che fanno sesso con maschi.

"In altre parole - scandisce lo specialista - non credo che la trasmissione sessuale sia la causa predominante. Qui, anche se è tutto da indagare e per adesso si tratta di ipotesi - puntualizza - ci troviamo di fronte secondo me a una zoonosi che è partita da animali che si sono infettati, forse animali domestici, e si è diffusa poi per ragioni di vicinanza e contatto stretto fra persone. Al di là del rapporto sessuale, anche il parlare, il vivere insieme, può essere un fattore di trasmissione. No allo stigma", ribadisce il virologo.

IL VIRUS E' MUTATO? - "Casi anomali": così l'Organizzazione mondiale della sanità ha definito le infezioni da vaiolo delle scimmie che aumentano in diversi Paesi. Ma il virus può essere mutato come alcuni credono possibile, magari assumendo una maggiore capacità di trasmissione uomo-uomo? Ferrante lo ritiene improbabile. "Prima di ipotizzare cambiamenti nel genoma del virus e nelle sue molecole di superficie, direi che bisogna aspettare, e molto", ammonisce l'esperto. E in effetti, secondo le prime analisi condotte dall'Inmi Spallanzani di Roma sulle sequenze virali dei pazienti italiani, i virus sono "tutti risultati affini al ceppo dell'Africa Occidentale".

Il motivo principale per cui serve cautela, spiega Ferrante, è il fatto che "il virus del 'monkeypox', così come quello del vaiolo umano, è un virus a Dna a doppia elica, fra l'altro molto grosso per dimensioni", precisa lo specialista, ricordando che "all'epoca del vaiolo il virus lo si poteva quasi osservare al microscopio ottico, per quanto era grande la particella".

Questa caratteristica "significa qualcosa anche da un punto di vista biologico: vuol dire stabilità. Essendo un virus a Dna a doppia elica, per di più appunto di dimensioni ragguardevoli - insiste Ferrante - quello del vaiolo delle scimmie, come anche gli herpesvirus tra cui la varicella, è uno di quei virus che non va facilmente incontro a mutazioni, ma che anzi si sono dimostrati finora assolutamente stabili. Al contrario dei coronavirus come il Sars-CoV-2 di Covid-19, virus a Rna inclini a mutare" per assenza di 'correttori di bozze', ossia i meccanismi che durante la replicazione limitano il rischio di errori casuali dai quali originano le varianti.

LA VACCINAZIONE - "Un approvvigionamento leggero" di vaccino contro il vaiolo delle scimmie potrebbe già essere una buona idea, una possibilità da valutare anche in Italia. "Ma queste decisioni devono essere prese dal Governo in accordo con le Regioni, sulla base dell'evoluzione dei numeri. Se progressivamente i casi dovessero aumentare, e mi auguro di no anche se per adesso non mi sento assolutamente di azzardare delle stime, ci si potrà muovere in questo senso" secondo Ferrante.

"Il vaiolo delle scimmie - ricorda l'esperto - è una malattia provocata da un virus strettamente imparentato con quello del vaiolo umano, tanto è vero che l'essere vaccinati contro quest'ultimo, e molte persone fino a qualche anno prima del 1981 in Italia sono state immunizzate, conferisce una protezione dell'85% anche contro il 'monkeypox'".

Ma "oltre alla possibilità di utilizzare il vaccino anti-vaiolo che conosciamo - precisa Ferrante - esiste un vaccino ancora più specifico, testato direttamente per il vaiolo delle scimmie e contemporaneamente per quello umano, che sembra proteggere nei confronti di tutte e due le infezioni. Si tratta di un vaccino innovativo che si chiama Jynneos, è già stato approvato dalla Fda americana e può essere utilizzato per i contatti stretti di persone contagiate o nelle fasi prodromiche dell'infezione, per ridurre l'eventuale gravità della malattia".

I SINTOMI E COSA FARE - "Come il vaiolo umano, anche il vaiolo delle scimmie è caratterizzato da una malattia esantematica - descrive lo specialista - che si presenta con lesioni cutanee abbastanza caratteristiche, molto simili alla varicella. Queste manifestazioni partono dal capo e poi si diffondono verso gli arti; iniziano con delle macule che successivamente diventano papule, un poco in rilievo, dopo di che si forma una vescicola al cui interno c'è del liquido che contiene il virus. La vescicola persiste per qualche giorno, quindi si rompe e al suo posto rimane un piccolo segno. Lo stesso andamento della varicella", ripete Ferrante.

"Le raccomandazioni, anche dell'Organizzazione mondiale della sanità - rimarca il virologo - prevedono innanzitutto di osservare con attenzione tutte le persone che manifestano un esantema del tipo specificato, preceduto da febbre, mal di gola, mal di schiena, altri dolori, insomma quello che si accompagna di solito alle febbri. Quando si sviluppa un esantema di questo genere, è buona cosa farsi visitare subito dal medico. Nel caso in cui ci si rivolga a un pronto soccorso, è consigliato eseguire un test per valutare se sia o meno varicella. Qualcuno suggerisce di aggiungere anche la ricerca degli anticorpi anti-morbillo, in modo da escludere entrambi i patogeni. Se questi esami sono negativi, allora può essere sospettato un caso di vaiolo delle scimmie; bisognerà raccogliere il liquido delle vescicole con un tampone ed effettuare anche un tampone oro-faringeo, per cercare di isolare il virus e analizzarlo".

"La diagnosi di questa malattia - conclude Ferrante - è favorita dal fatto che l'infezione si vede sulla pelle, che c'è qualcosa di evidente facile da individuare. Chiaramente, però, a diagnosi avvenuta è necessario andare un po' a ritroso nell'indagine, perché il virus può essere eliminato attraverso le goccioline di saliva anche prima che si presenti l'esantema. Dunque tutti i contatti pregressi devono essere studiati o quantomeno monitorati".

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