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Vaticano, Torzi e bond da 30 milioni con Popolare Bari: così nasce l'estorsione

06 giugno 2020 | 14.35
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Nelle indagini dell’Ufficio del Promotore Vaticano, a quanto apprende l’Adnkronos, si ricostruisce l’escalation del rapporto tra Gianluigi Torzi - il broker arrestato per peculato, truffa ed estorsione in relazione all’inchiesta sull’acquisizione dell’immobile di Londra da parte del Vaticano - e la Segreteria di Stato a partire, tra l’altro, dalle dichiarazioni di Manuele Intendente, allora avvocato dello studio Ernst & Young ("Intendente ha agito a titolo personale e non fa più parte della società", la precisazione di EY, ndr), che poi sarebbe diventato interlocutore di Torzi per condurre la trattativa con la Santa Sede.

Intendente avrebbe specificato a verbale come nel corso di una riunione in Vaticano alla presenza, tra gli altri, di monsignor Alberto Perlasca, (responsabile Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato) Torzi avrebbe chiesto se gli si potesse concedere formalmente un incarico di gestione dell’immobile, visto che fino a quel momento aveva operato a titolo gratuito. Aspettativa che però, secondo le indagini condotte dal Promotore Vaticano Gian Piero Milano e del suo aggiunto Alessandro Diddi, rimarrà delusa, ingenerando l’escalation, appunto, che poi porterà a quella che per la procura vaticana è a tutti gli effetti un’estorsione.

La svolta nei rapporti – per quanto si ricostruisce incrociando più versioni - sarebbe arrivata nel corso di una riunione all’Hotel Bulgari di Milano: Tirabassi, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato, ed Enrico Crasso, gestore delle finanze della Segreteria, avrebbero spiegato a Torzi di aver intenzione di proporre la cessione al Fondo Centurion delle quote di Gutt Sa, la società di cui l’imprenditore ha ceduto 30mila azioni senza diritto di voto al Vaticano (mantenendone 1000 con diritto di voto) e che gestisce l’immobile di Londra. In quel momento, sempre secondo quanto riferito da Intendente agli investigatori, Torzi, basito, avrebbe maturato l’idea dell’estorsione, ossia di condizionare la restituzione delle quote al versamento di un’ingente somma di denaro.

Secondo la procura vaticana tuttavia, le ragioni del cambio di posizione di Torzi starebbero altrove, e cioè nell’impegno preso dall’imprenditore con il manager della Banca Popolare di Bari Vincenzo De Bustis di sottoscrivere un bond di 30 milioni di euro. Per gli inquirenti sarebbe quindi la mancata disponibilità del Vaticano a sottoscrivere il bond a scatenare la reazione di Torzi e la sua determinazione a non restituire le azioni della Gutt Sa se non a fronte di una cifra cospicua.

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