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"Vi racconto il mio amico Nobel". Gli aneddoti dello scienziato italiano

05 ottobre 2020 | 17.47
LETTURA: 7 minuti

Sergio Abrignani (Statale Milano): "Con Houghton anni di lavoro fianco a fianco e tanti studi firmati insieme. Gli chiedevo di scrivermi le lettere più difficili, imbattibile con il suo stile british"

Il Premio Nobel per la Medicina Michael Houghton (fonte Nobel Prize)
Il Premio Nobel per la Medicina Michael Houghton (fonte Nobel Prize)

Uno siciliano, l'altro "british fino al midollo". Sergio Abrignani, ordinario di Patologia generale all'università degli Studi di Milano, è una miniera di aneddoti su Michael Houghton, scienziato britannico oggi trapiantato in Canada, fresco di premio Nobel 2020 per la Medicina, condiviso con i due colleghi americani Harvey J. Alter e Charles M. Rice per la scoperta del virus dell'epatite C. Sono amici fraterni - racconta all'Adnkronos Salute - hanno lavorato insieme a San Francisco alla Chiron, "una delle prime aziende biotech al mondo", hanno condiviso il miraggio di un vaccino contro l'epatite C e firmato una ventina di studi insieme, di cui "uno solo io e lui su Nature nel 2005 in cui facevamo un report un po' triste delle prospettive su un'iniezione scudo che non ci sarebbe mai stata".

Abrignani ha condiviso con lui anche l'importante scoperta "del recettore del virus CD81, cioè della porta d'ingresso del virus nelle cellule umane. Pubblicammo su Science nel 1998". E' questo uno dei lavori a firma di Abrignani più citati. Ma c'è di più nel rapporto che lo lega a Houghton: un enorme fattore umano. Tanto che lo scienziato italiano lo usava come 'ghost writer' per le lettere più difficili, quelle con cui doveva mandarle a dire a qualcuno in inglese. "Gli chiedevo aiuto non essendo madrelingua - ricorda - Una lettera di insulti senza insultare, era la richiesta. E lui era imbattibile. Attaccava con 'Mi addolora il doverti dire che', poi seguiva una caterva di insulti garbati e finiva dicendo che 'la continuazione di questa collaborazione non sarebbe di nessun vantaggio per nessuno dei due'. Queste lettere le ho conservate e ogni volta che le rileggo sorrido".

Dai racconti di Abrignani emergono sprazzi di vita da Nobel e la storia di un'amicizia. Quando lui, giovane ricercatore italiano di belle speranze, traslocò negli States in California, ancora senza residenza né carta di credito Usa, fu proprio Houghton a 'garantire' per lui per il contratto dell'energia elettrica. "Ci presentammo insieme alla compagnia dell'elettricità e Houghton firmò che se non pagavo rispondeva lui. Da allora ci scherzava sopra e mi chiedeva: hai pagato la bolletta?".

O ancora, lo scienziato italiano racconta di "quella volta che nel 2002 organizzammo un congresso insieme, Houghton, Rice (altro Nobel 2020 per la Medicina, ndr) e io". Bravissimi scienziati, li definisce. E di Houghton in particolare, visto il rapporto, dice: "E' una gran persona, ha dato un contributo immenso alla medicina del Novecento. Non si trattava di capire se gli avrebbero dato il Nobel, ma quando. Perciò gli ho scritto un messaggio oggi: 'Alla fine lo hai preso', era l'incipit", non a caso.

Abrignani risolve il giallo su età e città di nascita: Houghton, "Mike per gli amici", è 70enne. Il virologo molecolare è nato a Londra. "Ha scoperto il virus dell'epatite C nel 1988 e ha pubblicato lo studio nel 1989. Fino ad allora questo patogeno era un'entità mitologica, non A e non B. Lo chiamavano 'virus fantasma'. Lui era arrivato in Chiron proprio con questo progetto e ci è riuscito in 4-5 anni non con le tecnologie di oggi. Ha usato un modo nuovo, perché questo virus non è mai stato visto né coltivato fino al 2005-2006. Io stesso ho identificato il recettore del virus usando proteine ricombinanti e sieri di pazienti, senza aver mai visto il virus. Houghton ha agito operando una serie di deduzioni, usando i sieri di pazienti con epatite 'non A non B'. Alter ha avuto il premio perché per primo ha dimostrato l'esistenza del patogeno e, con test sugli scimpanzé, che era trasmissibile. Rice ne ha chiarito la biologia ed è riuscito a coltivarlo. Ma tutto ciò non sarebbe esistito senza Houghton".

E' stato, prosegue, "un titano, ha dato un contributo enorme alla salute. Basti pensare che fino al 1990 solo in Nord America ogni giorno 120 persone si prendevano l'epatite C da trasfusione. Parliamo di decine di migliaia di persone nel mondo ogni anno. E quando fu messo in commercio il kit per la diagnostica è finito tutto su questo fronte. Gli studi di Houghton sono stati determinanti". Poi lo scienziato ha lasciato il mondo dell'industria per dedicarsi a quello accademico. Nuova parentesi che lo porta in Canada, dove si trova tuttora. Una parabola che lo accomuna al collega italiano, tornato in Italia dove insegna alla Statale di Milano. Ma i due fanno in tempo a organizzare nel 2002 il meeting internazionale sull'epatite C a San Diego insieme all'altro Nobel Rice.

Abrignani sorride pensando all'animo 'british' dell'amico, che si esplica in più modi: "A cominciare dal tipico humour inglese, che lo porta a descrivere qualcuno che fornisce dati poco chiari come una persona che 'ha risparmiato molto sulla verità' ('very economical with the truth')". E poi c'è la passione per il cricket. "Ogni tanto - racconta - lo vedevo con gli occhi assonnati e mi raccontava che si svegliava di notte per vedere le partite in Gb. Negli Usa nessuno ci giocava. Ma da qualche parte nei Caraibi sì, e lui negli anni '90 si fece l'abbonamento con la parabola alla tv di una di quelle isole che trasmetteva continuamente gare infinite, duravano giorni".

Quindici anni al lavoro insieme in uffici porta a porta, un'amicizia che supera le distanze, migliaia di chilometri che oggi li separano. "Ci vediamo di meno, in occasione di qualche congresso". Ma se non ci fosse stato il coronavirus, forse Abrignani sarebbe pure volato a Stoccolma. "Scherzando glielo dicevo sempre: quando ti danno il Nobel mi affitto un frac e ti accompagno al Karolinska. Tutti sapevamo che la sua era una scoperta da premio. E' un'emozione grande, una persona cara che vince il Nobel. Ti senti parte di una storia".

"RESTA MIRAGGIO VACCINO, CON COVID SARA' DIVERSO" - "Il virus dell'epatite C è diabolico, dà malattia cronica, mentre il coronavirus solo malattia acuta. Sembrano distinzioni sterili di interesse solo medico, ma invece è fondamentale: in pratica il virus dell'epatite C si abitua a vivere con noi e significa che ha ideato migliaia di meccanismi per fregarci. Dal coronavirus si guarisce. Può uccidere, è vero, ma altrimenti scompare, il che significa che l'organismo trova un modo per debellarlo. Altro aspetto cruciale è che muta molto poco, rispetto a quello dell'epatite C che è invece iper mutante, tanto da essere definito una 'quasispecie' di virus. Per questo, trovare un vaccino era una sfida impossibile. Lo stesso non si può dire del coronavirus, per il quale è più facile sperare in un'iniezione scudo". Infonde speranza Sergio Abrignani, che attualizza la portata del Nobel 2020 per la Medicina con un parallelismo con la pandemia in corso.

L'esperto parla con l'esperienza di chi ha dedicato una vita allo studio dell'epatite C e ora è al lavoro anche sul patogeno che tiene il mondo sotto scacco. "Stiamo studiando la risposta a Covid nel tempo", dice all'Adnkronos Salute, sottolineando come si possa sperare in un vaccino contro questo virus. Diverso è stato per l'epatite C, che comunque "oggi si può curare. Si è arrivati a questo traguardo grazie alla scoperta di quello che si poteva considerare uno dei virus più pericolosi e oggi si può dire debellato. Scoperta determinante per cui sono stati premiati Harvey J. Alter, il mio amico Michael Houghton e Charles M. Rice".

Oggi "grazie ai loro studi non c'è un vaccino, ma farmaci efficientissimi, antivirali diretti che riescono a eliminare questo virus nella quasi totalità delle persone colpite, se trattate bene con queste terapie". Ci sono voluti tanti anni di studi, per stringere il cerchio attorno a un virus sfuggente ("si pensi che non è mai stato visto né coltivato fino al 2005-2006, gli studi sono stati una sfida", spiega l'esperto). Le prospettive per il coronavirus Sars-CoV-2? "Io guardo al futuro in modo positivo: fra un anno-un anno e mezzo - è l'auspicio di Abrignani - potremmo riuscire a venirne fuori".

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