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Cervello

Viaggi, istruzione e accesso alla tecnologia: le esperienze che formano il cervello costano fino a 50 dollari al giorno

07 settembre 2021 | 07.16
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La parità tra persone a livello di calorie può essere raggiunta con 2 dollari al giorno, una parità negli stimoli tecnologici e culturali richiede cifre dai 30 ai 50 dollari quotidiani a individuo. Una possibilità che nel mondo è data a meno del 25% della popolazione.

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La disparità economica si riflette sulla fruizione della tecnologia, e di conseguenza anche sulla plastica del nostro cervello. Denutrizione e malnutrizione non sono gli unici fattori a impattare sulle capacità cognitive, anzi: secondo un nuovo studio sarebbero perfino meno importanti rispetto al contatto con gli stimoli esterni, cibo per il nostro cervello. Lo Human Brain Diversity Project studia l’impatto delle esperienze di vita sulla fisiologia del cervello che origina diversi risultati a livello di capacità cognitive e salute mentale. Fattori come il livello di istruzione, i viaggi, i trasporti e l’uso della tecnologia hanno esteso moltissimo la varietà di stimoli a cui veniamo sottoposti, e in base al reddito e al tipo di ambiente in cui viviamo si verificano differenze fondamentali.

Il cervello infatti è l’unico organo del nostro corpo che si nutre allo stesso modo di cibo ed esperienze: “A differenza degli altri organi” spiega la dottoressa Tara Thiagarajan, fondatrice e direttore scientifico di Sapien Labs e a capo del progetto Human Brain Divertsity “il cervello si evolve nel corso della vita non solo consumando nutrienti, ma anche consumando stimoli. I nostri studi mostrano una profonda divergenza nella fisiologia basata sul tipo di stimoli, con implicazioni significative dell’impatto della disuguaglianza socioeconomica”. E mentre la parità a livello di introito calorico può essere raggiunta per 2 dollari al giorno, una parità negli stimoli richiede cifre dai 30 ai 50 dollari quotidiani a individuo. Una possibilità che nel mondo è data a meno del 25% della popolazione.

Lo studio ha esaminato l’elettroencefalogramma di oltre quattrocento partecipanti con un’ampia disparità di livelli socioeconomici, dal paesino rurale (con accesso nullo o quasi a tecnologie moderne) alla metropoli. I risultati potrebbero rivoluzionare il concetto di “cervello tipico”, ipotizzando piuttosto che la fisiologia cerebrale vada sempre letta nel contesto della sua esposizione agli stimoli nel corso della vita. Uno dei fattori più importanti nel cambiamento dei livelli di attività cerebrale dei soggetti dello studio pare essere proprio l’accesso a uno smartphone e quindi la possibilità di essere a contatto costantemente con una grande quantità di informazioni, mentre la complessità degli output deriva piuttosto da esperienze complesse come i viaggi e l’istruzione. “Man mano che le persone consumano più contenuti digitali, maggiori sono i cambiamenti nei modelli neurali. La complessità dei segnali ricevuti dal cervello modifica sistematicamente questo organo in base agli impulsi e agli stimoli che riceve” ha spiegato la dottoressa Thiagarajan.

Ma se è chiaro che il diverso accesso alla tecnologia ha un effetto notevole sul nostro cervello, ma che dire della sovraesposizione a cui oggi siamo soggetti? “Abbiamo dati che dimostrano che il multitasking riduce le prestazioni cognitive e l'efficienza. Ma la realtà è che ancora non possiamo sapere fino in fondo quale sia l'impatto della tecnologia sulle reti cerebrali” argomenta il neuroscienziato argentino Facundo Manes, fondatore dell’istituto di Neurologia Cognitiva di Buenos Aires. Lo studio realizzato dalla dottoressa Thiagarajan conferma che la digitalizzazione modifica il modo in cui gli esseri umani apprendono, qual è il loro sviluppo cognitivo. E, indirettamente, determina il modo di vedere il mondo, di relazionarsi tra loro e anche della loro attività cerebrale, differenziandone il comportamento tra i paesi più ricchi e le regioni più povere. “Il cervello inizia a differenziarsi. Non si comporta allo stesso modo a seconda di dove ti trovi sul pianeta. Non si può dire che esista un organo standard, ma piuttosto che la sua evoluzione dipende dall'ambiente e dagli stimoli”, conclude Thiagarajan.

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