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Vino: fra naturale e biodinamica, si cerca comune denominatore

13 giugno 2017 | 13.41
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Vino: fra naturale e biodinamica, si cerca comune denominatore

Vino naturale, vino biologico, vino biodinamico: così il consumatore, sempre più interessato al tema, tende a perdersi e, come spesso accade, si rischia di combattere le stesse battaglie ma con 'uniformi' diverse. Da questa riflessione è nata la volontà, quasi un anno fa ormai, di un tavolo di lavoro fra i soggetti attivi su questo fronte: un incontro informale per discutere del futuro dei vini 'naturali', mossi dalla necessità primaria di dare un ordine e creare definizioni, parametri, obiettivi comuni. Per fare il punto, si sono ritrovati nei giorni scorsi da Sequerciani, un’azienda a conduzione biodinamica in provincia di Grosseto.

L’input, infatti, è partito da Ruedi Gerber, patron di Sequerciani, produttore e regista svizzero che negli anni ’90 si avvicina a questo podere della Maremma Toscana, compra "una casa con della terra" e poi, come racconta lui stesso, la trasforma in “una terra con una casa”, continuando ad investire sulla produzione vitivinicola e ispirandosi fin da subito al concetto di vino naturale.

“Ho iniziato a fare vino naturale - racconta Gerber - per una necessità privata, quella di creare un vino che mi facesse star bene. Non c’è ideologia: contano i fatti, la terra, l’uva, il sole. Ho iniziato a pensare alla vite come a qualcosa di vivo, che si esprime. Nel vino tradizionale sono ammesse per legge 608 sostanze addizionali, io volevo creare qualcosa che fosse l’experience diretta di questa terra. Ma che, allo stesso tempo, fosse partecipazione, emozione, come succede nel cinema o in altre arti”.

E proprio di condivisione si parla, nell’ottica di sconfiggere la confusione. “C’è bisogno - sottolinea Alois Lageder, presidente di Demeter Italia - di controllo, ma prima di tutto di politiche di sviluppo. Il nuovo consiglio si è riunito e ha pensato a un nuovo iter che sia alla base del controllo e della certificazione, approvato definitivamente solo da poche settimane. La prima fase sarà quella dell’assistenza, con un tutor che affiancherà le richiedenti la certificazione e formulerà una proposta di formazione: così Demeter e l’Associazione saranno più vicine al contadino, ricercando più spontaneità e meno burocrazia. Il tutor sarà probabilmente un altro produttore e così la condivisione e la formazione diventeranno degli asset fondamentali. C’è voglia di aprirsi, cercando un comun denominatore con chi ha il nostro stesso obiettivo, ovvero migliorare la terra e il lavoro del contadino”.

Un punto di vista più internazionale è portato in dote da Isabelle Legeron, prima donna Master of Wine di Francia, ideatrice di Raw Wine, fiera nata con l’intento di dare voce alle piccole cantine artigianali, naturali, biologiche, biodinamiche e che ricorrono a un nullo o basso intervento nei processi di vinificazione. “Raw Wine nasce nel 2012 con la prima edizione a Londra. Voleva essere il primo evento capace di far dialogare i piccoli produttori naturali con importatori e distributori. Poi è stata la volta di Vienna, Berlino, New York, Los Angeles”, spiega Legeron.

“Per partecipare - precisa - l’azienda deve raggiungere un livello di qualità, avere produzioni biologiche e biodinamiche, fermentazioni spontanee, nessuna filtrazione sterile, un massimo di solforosa a 70, chiediamo le analisi di ogni vino presentato perché la trasparenza è un concetto chiave”.

Propio la trasparenza, insieme alla codifica univoca e alla riconoscibilità, è uno dei temi caldi di questo incontro. “Il consumatore deve poter scegliere cosa beve - continua Legeron - ma nelle etichette non c’è scritto cosa c’è nel vino, come avviene invece per tutti gli altri prodotti alimentari. Andando avanti è fondamentale che si faccia chiarezza di termini, già adesso la parola naturale è abusata. Serve una certificazione, i consumatori hanno bisogno di sicurezze e categorie: come procedere tutti insieme? E come farlo prima che i grandi gruppi decidano di cavalcare quest’onda e intercettare questa nicchia di mercato in forte espansione?”.

Per Angelo Gentili, della segreteria nazionale di Legambiente, “non è un caso se ci troviamo in Maremma: una terra con una bassa antropizzazione, un bell’esempio di biodiversità, dove le tematiche dell’ambiente e della salute del consumatore si sposano con un nuovo approccio alla viticoltura”. “Questo di cui stiamo parlando - continua Gentili - non è solo un problema agronomico, ma anche di conservazione del paesaggio e culturale. È necessario fare rete così da poter incidere anche sulle politiche comuni, come per i temi della trasparenza e delle etichette".

"Il nostro è un ambientalismo scientifico, abbiamo un passato da valorizzare - fa notare - ma anche e soprattutto un futuro che è tecnica e conoscenza. Guardiamo con grande attenzione al fenomeno dei vini naturali, però questo deve unirci e non dividerci. E in questo contesto l’approccio e la bellezza di Sequerciani possono essere un esempio virtuoso per l’agricoltura Maremmana. Ci vuole un protocollo che stabilisca cosa, come e in che misura, con annesso un processo di verifica. Solo così può diventare un movimento innovativo e non autoreferenziale. Anche perché i prodotti stanno migliorando notevolmente e il loro mercato è in crescita”.

Proprio di mercati parla Paola Pozzoli, in rappresentanza di Eataly: “Ogni giorno tocchiamo con mano quale sia l’interesse crescente dei consumatori verso questa tipologia di prodotti. Noi la chiamiamo area green, perché come tutti avvertiamo questo problema di etichetta. Abbiamo lanciato il progetto Vivaio Eataly dedicato proprio a cantine piccole e giovani, molte di queste sono biologiche, biodinamiche, artigianali. Le nostre vendite green dal 2015 al 2016 sono salite del 40% di fatturato, un dato economico che non dobbiamo trascurare. Ecco perché questa dovrebbe essere una priorità anche per le istituzioni, mentre gli enti certificatori continuano ad essere solo enti privati”.

E il consumatore? “Chi cerca queste categorie di vini - osserva - è più informato della media, cerca qualcosa che renda riconoscibile una bottiglia, va oltre lo storytelling, vuole informazioni in maniera puntuale, precisa e rapida. Per non parlare dell’estero: in alcuni Paesi la certificazione è indispensabile. Adesso, ad esempio, molti consumatori stanno molto attenti al contenuto di solfiti: è bastato rendere chiaro con un cartellino lo scaffale dei vini senza solfiti aggiunti per avere un’ottima operazione di marketing”.

Se si parla di vini naturali, non può mancare Angiolino Maule, presidente di VinNatur, che afferma: “Negli anni 2000 siamo stati ridicolizzati, oggi invece è arrivato il momento del confronto. Ho fondato VinNatur e oggi l’associazione ha una grande credibilità, sono molti i produttori che chiedono di entrare una volta toccata con mano nostra serietà. Dobbiamo fare qualche riflessione: la prima è che la biodinamica è stata un ottimo punto di partenza ma oggi è un po’ statica. Dobbiamo concentrarci sul concetto della fertilità del suolo. La mancanza di vita nel suolo comporta l’indebolimento delle piante e la fragilità di fronte ai tanti attacchi degli agenti patogeni. La collaborazione con la ricerca, e quindi le università, in questo senso è fondamentale”.

“Come VinNatur - ricorda - abbiamo elaborato un disciplinare, cerchiamo di colmare le paure del produttore, visto che la chimica serve proprio a questo. Dopo due anni il disciplinare è stato approvato; adesso stiamo lavorando a un piano dei controlli, cercando la collaborazione degli enti certificatori. Per me, il vino naturale è quello che si fa senza impiegare niente che provenga da fuori dalla cantina”.

Giampaolo Gravina, giornalista e scrittore che da anni racconta il mondo dei vini artigianali, moderatore dell’incontro, insiste su un’esigenza condivisa, quella “di coltivare un’identità agricola di più ampio respiro, partendo dal punto di forza garantito dal vino”. “Se il dibattito si arena sui parametri della certificazione, dei lieviti e dei solfiti - rimarca Gravina - rischia di rimanere l’ennesima occasione mancata. La questione della biodiversità rivendica implicazioni di portata ben più ampia, che coinvolgono la diversificazione in una doppia accezione: tanto nel lavoro di chi produce, perché i viticoltori sono innanzitutto agricoltori, quanto nel piacere di chi consuma. La vitalità dei sapori che il vino artigianale ha rimesso in circolo va, infatti, stimolando una radicale trasformazione del gusto, da cui emerge con forza l’insofferenza verso i sapori artificiosi e posticci, in nome di quella spontaneità e schiettezza che non possiamo imbrigliare con nuovi protocolli”.

L’auspicio è che questo possa essere il primo di una serie in incontri per arrivare a un punto comune. “Spero che questo possa essere un primo passo per creare un gruppo di lavoro fra i vari players e associazioni, per arrivare a una condivisione della definizione 'vino naturale' e per discutere i temi della formazione, della ricerca e della trasparenza”, conclude Lageder.

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