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Virus, Burioni: "Forse Cina bara sui dati"

11 febbraio 2020 | 09.05
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Il virologo, insieme al collega Nicasio Mancini, fa il punto sull'epidemia di nuovo coronavirus: "A Wuhan letalità più alta, tre ipotesi"

((Foto Afp)
((Foto Afp)

"Probabilmente la Cina bara sui dati che fornisce al mondo". A ipotizzarlo è il virologo Roberto Burioni su 'Medical Facts'. "Nei giorni scorsi autorevoli colleghi, come Pier Luigi Lopalco, hanno detto che dalla Cina arrivavano piccoli segnali che inducono a un flebilissimo ottimismo: il numero dei casi di coronavirus sembrava salire con meno intensità negli ultimi giorni. Purtroppo, però, esiste la possibilità che questo calo derivi da una sconcertante decisione della Cina: considerare casi confermati solo quelli che risultano positivi al test e hanno sintomi. In altre parole, chi ha il test positivo, ma non ha sintomi, non rientra nel conto", afferma il virologo. "Io non so dirvi se è vero, perché non conosco il cinese, ma la direttiva sarebbe stata emessa il 7 febbraio, come si può leggere in questo tweet", scrive il virologo, citando un tweet di Alex Lam. "Parliamoci chiaro, contare i casi in questo modo ha un nome ben preciso: barare. Spero che non sia vero - aggiunge - e spero che nel malaugurato caso fosse vero l'Organizzazione Mondiale della Sanità non consenta questo comportamento", conclude.

"Tutto il mondo s'interroga sulla veridicità dei dati statistici disponibili in Cina. In ogni caso, con tutte le limitazioni di sorta, sono quelli che abbiamo e su cui tutti dobbiamo riflettere". Lo afferma su 'Medical Facts' il virologo Roberto Burioni, che insieme al collega Nicasio Mancini oggi analizza in dati disponibili: "In sintesi, sembra che nel resto della Cina si muoia molto meno per l’infezione rispetto allo Hubei. Alle 19 di lunedì 10 febbraio in Cina erano stati registrati 40.196 casi d’infezione da nuovo coronavirus con un totale di 909 morti (la totalità dei decessi meno il caso delle Filippine, l’unica morte al di fuori della Cina). È dal rapporto di questi due dati che deriva il valore di mortalità (anche se sarebbe più corretto parlare di tasso di letalità) compreso fra il 2% e il 3%".

Più precisamente 909 morti su 40.196 equivale, infatti, a una percentuale di poco superiore al 2% (2,26%). "Ricordiamo che questo dato è solo una stima: potrebbe essere più basso, come molti pensano, in quanto non abbiamo idea del reale numero degli infetti; ma potrebbe anche essere destinato a crescere, come ipotizza uno dei possibili scenari disegnati dagli epidemiologi dell’Imperial College of London nel loro ultimo report". Ma cosa accade nella provincia epicentro dell’epidemia (lo Hubei, di cui l’ormai nota a tutti città di Wuhan è il capoluogo)? In Hubei sono stati registrati 29.631 casi gravati, purtroppo da ben 871 morti. "Se calcoliamo la mortalità nel solo Hubei, otteniamo una valore molto vicino al 3% (2,94%). Cosa succede, invece, nel resto della Cina? In tutte le altre province cinesi abbiamo un totale di 10.565 casi con un totale di 38 morti. Da questo si ottiene un valore di mortalità (leggasi letalità) molto più basso, pari allo 0,36%. In sintesi, sembra che nel resto della Cina si muoia molto meno per l’infezione rispetto allo Hubei".

Come interpretare questi dati? "Le spiegazioni possibili sono varie - affermano Burioni e Mancini - e non distinguibili alla luce delle evidenze finora disponibili. Una possibilità è legata al fatto che nello Hubei, come detto sopra, i casi siano molti di più e, quindi, la letalità molto più bassa. Cosa possibile, ma che, in ogni caso, vale anche per il resto della Cina".

Altra possibilità "è che lo Hubei abbia risentito della prima ondata di contagi quando una minore preparazione ha fatto salire drammaticamente il numero dei morti. Anche questa è un’interpretazione possibile, ma che, col passare dei giorni, sembra impattare sempre meno sul'’analisi che proponiamo. In altre parole, l’allarme oggi è esteso all’intera Cina, ma, ciononostante, si continua a morire in assoluto e in proporzione più nello Hubei".

C’è, infine, una terza possibile interpretazione del dato. "È ormai accertato che la prima ondata di contagi sia partita dallo Hubei. In altre parole, nello Hubei è sicuramente maggiore la percentuale di soggetti che è stata contagiata da un animale non ancora identificato (vi ricordate il mercato di Wuhan?), o da altri soggetti che erano stati appena infettati da esso. Cosa vuol dire questo? Una probabilità, ancora teorica, si badi bene, è che il virus stia pian piano adattandosi all’uomo, diventando così meno pericoloso. Non abbiamo ancora dati molecolari che lo confermano, ma chi conosce un po’ di virologia non può non considerare anche quest’ipotesi. Vedremo nei prossimi giorni", concludono gli esperti.

"Stanno aumentando le segnalazioni di soggetti che hanno superato l'infezione. Che sono guariti, insomma. Nello Hubei, infatti, sono stati registrati 1.854 guarigioni pari a circa il 6% (6,26%) dei casi totali. Nel resto della Cina, invece, sono state segnalate 1.679 guarigioni pari a circa il 16% (15,89%) del totale. In altre parole, nel resto della Cina non solo si muore meno che nello Hubei, ma si guarisce anche di più", sottolineano poi i due esperti. "Non abbiamo ancora tutti i dati per confermare quanto detto, ma" le interpretazioni possibili "ci fanno guardare con un minimo di fiducia in più all'immediato futuro". "Attenzione, però - ammoniscono gli esperti - noi non siamo maghi e non sappiamo come le cose potranno cambiare, per esempio a seguito di una più corretta registrazione dei casi o di eventuali mutazioni che rendano più aggressivo il virus. Questa nostra interpretazione positiva di come sta evolvendo l'epidemia deve, quindi, spingere ancora di più a non abbassare la guardia. La partita è ancora in corso e ce la stiamo giocando alla pari. Non molliamo proprio adesso. Sperando che in Cina - concludono gli esperti - non facciano i furbi".

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