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Zoro dal 'Gazebo' al mercato con 'Arance e martello', a Venezia la sua opera prima

05 settembre 2014 | 16.22
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Diego Bianchi al Lido per presentare il suo primo lungometraggio, Evento Speciale e film di chiusura della 29° Settimana della Critica

Zoro
Zoro

Roma, 5 set. (Adnkronos/Cinematografo.it) - "Fare politica da giovane era una cosa che mi inorgogliva molto. Ora la militanza, la vita di sezione, non è più percepita come una cosa di tendenza. Lo scollamento tra i rappresentanti e i rappresentati è sempre più ampio e l'immagine peggiorata della politica ricade su chi la politica prova a continuare a farla sul territorio". Parola di Diego Bianchi - aka Zoro - a Venezia per presentare il suo primo lungometraggio, 'Arance e martello', Evento Speciale e film di chiusura della 29° Settimana della Critica. (Videointervista)

"Con la militanza politica ho smesso da tempo, ma l'aver fatto e continuare a fare televisione mi permette di avere un osservatorio privilegiato, e voluto, sulle varie realtà del paese. Sguardo che cerco di rendere senza dare chissà quali giudizi". Osservatorio che si è trasformato in palestra per approdare alla regia di un film per il cinema: "Non avevo un'esigenza particolare, un'urgenza di realizzare un film, ho semplicemente pensato che dopo aver creato tanti personaggi e aver scritto molte piccole sceneggiature per altri progetti, la storia che volevo raccontare, basata su una realtà che conosco molto bene, poteva essere trattata con un respiro più ampio".

La storia in questione è quella del mercato di Via Orvieto, nel quartiere San Giovanni di Roma: nel 2011, la vita dei lavoratori del mercato è stravolta dalla notizia della sua chiusura da parte del Comune. L'unico referente che trovano, l'unica realtà politica a cui rivolgersi è una sezione del PD, al fondo della strada, separata dal mercato e dal mondo (grazie al muro di cemento eretto per consentire i lavori della Metro C): inizierà una giornata paradossale, sorta di paradigma satirico della storia recente del nostro Paese.

"Che fosse una metafora me lo sono raccontato dopo - spiega Diego Bianchi -. Inizialmente era tanta la voglia di raccontare una realtà che conosco molto bene, sia quella del mercato, che come tutti i luoghi che raccolgono umanità di vario tipo mi attirano, sia quella della sezione, la stessa dove militavo da ragazzo. Io nasco e cresco in quel quartiere, e mettere a contatto il microcosmo del mercato con un altro che, per tendenza, dovrebbe aprirsi al mondo anche se ultimamente non lo fa così tanto, era la molla che mi ha spinto a fare il film".

Ambientato nel giorno più caldo della torrida estate 2011, 'Arance e martello' - che Fandango porta in sala con una cinquantina di copie - in più di un'occasione fa il verso a Fa' la cosa giusta di Spike Lee, se vogliamo imperativo ricorrente con cui i lavoratori del mercato cercano di spronare i militanti della vicina sezione del PD (ex PCI): "Se chiudono il mercato scoppia la rivoluzione. Bastò sentire questa frase, uscendo un giorno di casa -racconta Bianchi- per provare a immaginare le dinamiche di un'ipotesi di 'rivoluzione' nell'Italia del 2011, nel pieno del potere berlusconiano: categorie abusate quali 'politica' e 'paese reale' si annusano, si mischiano e si scontrano in tempi di crisi, fino a esplodere nei pressi della grande muraglia gialla dei lavori della Metro C, separazione plastica e metaforica dei due mondi".

"Raccontare come la politica avrebbe provato a fare 'la cosa giusta' per gestire un territorio in tumulto è stata la sfida personale che ho voluto accettare", dice ancora Diego Bianchi, che nel film, per ovvie ragioni, non può inserire elementi di strettissima attualità come il Movimento Cinque Stelle o Renzi: "No, certo, era il 2011, il Movimento Cinque Stelle si stava formando, non era protagonista come lo è oggi, ma attraverso alcune battute o slogan nel film si sente l'embrione di quello che poi sarebbe stato. E Renzi, anche se il paragone ovviamente è improponibile, lo potremmo ritrovare in quella fotografia di Totti che compare sulla parete della sezione: qualcosa, se vogliamo, che lì non c'entrava niente". Ma messo alle strette, dovendo optare per una scelta dolorosa, dalla torre Diego Bianchi getterebbe Berlinguer o Francesco Totti?: "Siete pazzi, l'autolesionismo ha un limite!".

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