La giovane dottoressa palestinese che ha trasformato il dolore in speranza
C’è una forza che non fa rumore, che non grida, che non si impone. Una forza che si vede negli occhi più che nelle parole. È la forza di chi ha attraversato la guerra e ha scelto di continuare a credere nella vita. È la forza di Joslin AlDadah, 25 anni, giovane dottoressa palestinese arrivata a Roma dopo aver studiato Medicina mentre attorno a lei la città di Gaza crollava sotto le bombe. Oggi, nei corridoi del Policlinico Gemelli, Joslin porta un camice bianco e un sorriso timido. Ma ciò che porta davvero con sé è una storia che va oltre la medicina: una storia di resistenza, dignità e amore per l’umanità. Studiando sotto le bombe: “Ogni giorno rischiavamo la vita”, dice nella lunga intervista concessa all’emittente turca A Haber, con voce ferma ma dolce. Racconta senza enfasi, come se quel dolore fosse diventato un’abitudine contro cui non ribellarsi più. "Diciamoci la verità: non è stato facile. Studiare a Gaza, in guerra, è stato più difficile della mia forza. Ma continuavo a ricordarmi che avevo un sogno da difendere". Ogni mattina lei e i suoi colleghi entravano negli ospedali universitari senza sapere se avrebbero rivisto la propria famiglia.
Eppure andavano avanti. "Sì, studiare è una forma di resistenza. A volte rischiavamo la vita solo per raggiungere i nostri centri educativi. Ma non ci siamo fermati". Un viaggio di salvezza: da Gaza ad Amman, poi finalmente Roma. Per arrivare in Italia non è bastato un biglietto aereo. È servito un percorso di tentativi, attese e paure. Grazie all’impegno della Farnesina e del Consolato generale d’Italia a Gerusalemme, Joslin ha ottenuto il permesso di lasciare Gaza. Ha attraversato confini, check-point, silenzi. Ha raggiunto Amman, poi Roma. Un viaggio non soltanto geografico, ma emotivo e identitario. Arrivare al Gemelli per lei è stato come ritrovare un luogo familiare: tre anni fa vi aveva già svolto uno scambio internazionale. "Mi sento fortunata a essere qui. Tornare al Gemelli significa avere una seconda possibilità". La ferita più grande: lasciare la famiglia a Gaza. Se la guerra segna la pelle, la distanza segna il cuore.
La parte più difficile, confessa, non è stata la fuga, ma ciò che è rimasto indietro. "È stato straziante lasciare la mia famiglia. Anche da lontano continuiamo a soffrire. La mente è sempre lì, con loro. A volte piango, mi mancano". Quelle parole non hanno rabbia. Hanno soltanto verità. La missione di un medico: “Dopo la guerra, ho capito cosa significa davvero curare”. Al Gemelli, Joslin non sta solo imparando la medicina clinica. Sta riscoprendo il senso stesso del suo mestiere. "Ho visto medici lavorare giorno e notte a Gaza, rischiando la vita per salvare i pazienti. È lì che ho capito che essere medico è una missione".
Accanto all’emergenza quotidiana, però, c’è un sogno più grande: tornare un giorno a Gaza e contribuire a ricostruire un sistema sanitario allo stremo. "Voglio costruire un sistema più forte, più umano, più giusto per la mia gente". L’accoglienza in Italia: “Ho imparato la generosità". In Italia, Joslin ha trovato calore, sostegno e una comunità pronta ad aiutarla. "Sono profondamente grata a chi mi ha accolto. Ho imparato a essere più generosa, a dare di più. Voglio restituire ciò che ho ricevuto". Il mondo e Gaza: aiuti importanti, ma non ancora sufficienti. Con delicatezza, ma senza nascondere la realtà, Joslin riconosce lo sforzo di molti Paesi, pur sottolineando i limiti dell’aiuto internazionale.
"Tutti gli aiuti sono preziosi. Ma non sono stati sufficienti a fermare la sofferenza del mio popolo". Un messaggio ai giovani: “È normale sentirsi persi, ma non smettete di provarci”. La frase che racchiude il suo spirito è forse questa: "A volte è normale voler mollare tutto. Ma abbiamo sempre una possibilità. Tutto può cambiare in un attimo". È un messaggio che suona come una promessa, più che come un consiglio. Il grazie alla Turchia e ai Paesi che non hanno voltato lo sguardo. Con rispetto e gratitudine, Joslin rivolge un pensiero a chi, in questi mesi, ha sostenuto la popolazione di Gaza: "Ringrazio tutti coloro che si prendono cura della causa palestinese. Un grazie particolare chi davvero sono stati sempre al fianco della Palestina". Una storia che non chiede pietà, ma ascolto.
La storia di Joslin non è solo la storia di una giovane dottoressa. È la storia di un popolo che sopravvive, di una generazione che studia mentre tutto intorno cade, di una ragazza che crede ancora che la medicina possa guarire non solo i corpi, ma anche la speranza. In un’epoca in cui le guerre riempiono i notiziari ma svuotano le coscienze, la voce dolce di Joslin ricorda che dietro ogni conflitto c’è un essere umano che continua a vivere, soffrire, sognare. Ed è forse questo il messaggio più importante della sua testimonianza.