Giuseppe De Luca, storico economico dell’Università Statale di Milano e presidente dell' Associazione italiana per la ricerca in storia economica (Arise), all'AdnKronos: "La finanza indipendente dalla politica non esiste, fondi di investimento cercano solo di massimizzare profitti"
Il caso Mps-Mediobanca non è isolato, la politica torna ad affacciarsi con decisione sul terreno della finanza. Un movimento che non è episodico ma strutturale, spiega all’AdnKronos Giuseppe De Luca, storico economico dell’Università Statale di Milano e presidente dell' Associazione italiana per la ricerca in storia economica - ARiSE. "Siamo in una fase in cui la politica prova a riprendere il controllo di alcuni snodi strategici – afferma – sia per proteggere interessi sociali e politici, sia per recuperare un ruolo che negli ultimi decenni era stato eroso dalla finanziarizzazione".
Per lo storico, l’idea di una finanza autonoma e indipendente dalla politica è sempre stata una rappresentazione incompleta. "Non è mai esistita una finanza di puro mercato – osserva –. La politica ha sempre cercato la finanza e la finanza ha sempre cercato protezione politica". A sostegno di questa tesi, De Luca ricorda episodi lontani e vicini: dalla fondazione della Banca d’Inghilterra nel 1694, "nata sotto l’ombrello del governo Whig", fino al caso italiano della Banca Romana o alle interferenze politiche più recenti nel settore creditizio."
Il denaro è sempre stato un fatto politico – aggiunge – perché riguarda la fiducia, il risparmio, e la stabilità di tutto il corpo sociale. E quando questi elementi saltano, la società si destabilizza". Una cesura netta, secondo De Luca, arriva in Italia con il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. "Con quel passaggio – spiega – si afferma anche in Italia il paradigma liberista e monetarista: lo Stato arretra, la Banca centrale acquisisce maggiore indipendenza e rilievo, e il mercato avanza". È l’epoca delle liberalizzazioni, della deregolamentazione, della logica che consegna al mercato il ruolo di arbitro dell’equilibrio economico. "La finanza diventa custode dell’ortodossia del libero mercato – sottolinea – e la politica si ritira, anche perché non riesce più a garantire crescita e stabilità come nel dopoguerra".
I fondi di investimento
Logico corollario di quel modello è l'arrivo dei fondi d’investimento che assumono un peso crescente nei sistemi bancari europei e italiani. Un fatto che non sempre genera benefici diffusi. "Molti di questi fondi – chiarisce De Luca – hanno una logica essenzialmente estrattiva: massimizzano il profitto e restituiscono pochissimo sui territori in cui operano". È il caso, spiega, dei grandi gestori globali, che investono rapidamente dove i rendimenti sono più alti "senza valutare l’impatto sociale o industriale nei Paesi in cui entrano".
Secondo lo storico, è anche questo che spinge i governi a intervenire: "Gli Stati cercano di difendere i propri sistemi produttivi e i risparmiatori dai movimenti di capitali che possono essere velocissimi e disancorati dall’economia reale".
Il caso Mediobanca–Generali e il ritorno dell’economia reale
Questa dinamica si riflette anche nelle partite finanziarie più recenti, come la contesa attorno a Mediobanca e Generali. "Colpisce – osserva De Luca – che i soggetti schierati contro i fondi siano realtà collegate all’economia reale. È la dimostrazione che si sta cercando un nuovo equilibrio, dopo anni in cui l’industria finanziaria aveva preso il sopravvento su quella produttiva". Un capitalismo “politico”. Il professore inserisce tutto in una caratteristica storica del nostro Paese. "Il capitalismo italiano – dice – è sempre stato un capitalismo politico. Gli attori economici chiedono protezione alla politica, e la politica vede nella finanza uno strumento di influenza e di consenso". Dai prestiti facili della Banca Romana ai “furbetti del quartierino”, fino al peso di grandi gruppi assicurativi e bancari: "La storia italiana è punteggiata da casi in cui potere politico e potere finanziario si intrecciano".
Ma tornare a controllare la finanza non è semplice. "Il mercato viaggia più veloce della regolazione", avverte De Luca. "Ogni crisi produce nuove norme, ma nel frattempo nascono strumenti e attori difficili da intercettare: pensiamo alle shadow banks". Per questo, la risposta non può essere solo normativa. "La vera sfida è educare la domanda", sostiene. "Bisogna formare i risparmiatori: capire rischi, prodotti, truffe. È una competenza fondamentale quanto saper leggere e scrivere".“Il denaro misura il disagio sociale", sottolinea De Luca che conclude ricordando un principio semplice ma spesso ignorato: "Il denaro è una cartina di tornasole del benessere di un Paese. Quando il risparmio viene eroso, quando l’inflazione galoppa, quando esplodono le bolle speculative, il disagio politico segue inevitabilmente". Per questo, secondo lo storico, il ritorno della politica sulla scena finanziaria non è un’anomalia: "È la risposta a un sistema che ha acquisito troppo potere senza sufficiente responsabilità sociale". (di Andrea Persili)