Il Consiglio Europeo si è concluso nella notte con un accordo per un prestito comune a Kiev da 90 miliardi di euro in due anni. Naufraga la soluzione spinta dalla Germania, ma i beni della Banca centrale russa non verranno restituiti a Vladimir Putin. Per Giorgia Meloni ha vinto "il buonsenso". Il ruolo decisivo del premier belga Bart De Wever e del presidente Antonio Costa.
L'Ue ha trovato un accordo sul finanziamento dell'Ucraina, in guerra con la Russia da quasi quattro anni.
"Non ha senso lamentarsi del colore del gatto: l'importante è che acchiappi i topi". Il primo ministro del Belgio Bart De Wever ha citato la versione fiamminga di un antico proverbio cinese caro a Deng Xiaoping per sintetizzare l'esito del Consiglio Europeo di ieri, terminato nel cuore della notte con un accordo unanime sul finanziamento dell'Ucraina per i prossimi due anni con l'emissione di "eurobond", come li ha chiamati il presidente francese Emmanuel Macron usando la parola tabù, esecrata da nordici e frugali, per 90 miliardi di euro, garantiti dal bilancio comune dell'Ue. Insomma, l'importante era che l'Ucraina ottenesse i fondi di cui necessita, non come verranno raccolti.
De Wever ha condotto una tenace battaglia, pur mantenendo sempre un atteggiamento "costruttivo" e aperto al confronto, per difendere gli interessi nazionali. Proprio lui, un inveterato nazionalista fiammingo, ha unito dietro di sé nella difesa di Euroclear l'intero Paese: di per sé un mezzo miracolo, viste le storiche divisioni del Belgio e le tensioni sociali che lo percorrono.
Per il premier belga, l'esito del summit costituisce una netta "vittoria" per l'Ucraina, per l'Europa, per la solidità finanziaria dell'Ue e dell'euro, dato che pone al riparo Euroclear, colosso mondiale del clearing con sede a Bruxelles, dai gravi rischi cui sarebbe andata incontro se l'Unione avesse deciso di avventurarsi oltre, nelle "acque inesplorate" del cosiddetto prestito di riparazione.
Così Euroclear, ha detto De Wever, potrà continuare ad essere "la pietra angolare del sistema finanziario" che è oggi, senza vedersi tagliare il rating per un'operazione dai contorni incerti e dai rischi potenzialmente enormi. La carta vincente è stata messa sul piatto dalla Commissione e dal Consiglio Europeo nel corso della lunga notte bruxellese: la cooperazione rafforzata per emettere debito Ue.
Sono due cavalli di battaglia dell'ex presidente della Bce Mario Draghi, federalista pragmatico che ha espressamente indicato queste due strade per evitare all'Unione la "lenta agonia" che la attende, se rimarrà immobile, ostaggio dell'unanimità.
La soluzione nella notte
I trattati hanno confermato questa notte tutta la loro flessibilità, e la lungimiranza di chi li ha redatti, perché la presidenza del Consiglio Europeo e la Commissione sono riusciti a mettere sul tavolo una 'wayout' che ha consentito ai 27 di sfuggire al cul de sac in cui rischiavano di infilarsi, a causa principalmente della "forte" pressione della Germania di Friedrich Merz, assecondata dalla Commissione che poi si è smarcata in zona Cesarini, a favore di un'unica soluzione, quella del cosiddetto prestito di riparazione, basato sui beni congelati alla Banca centrale della Federazione Russa.
Dunque la soluzione, un po' contorta ma funzionante, è una votazione all'unanimità sull'uso della cooperazione rafforzata, strumento Ue che consente ai Paesi 'che ci stanno' di procedere su un determinato tema, senza essere bloccati dagli altri, che si chiamano fuori. Per poter procedere, serve il voto dei 27: via libera che è arrivato, anche se Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno ottenuto un opt-out, cioè vengono esplicitamente escluse, nel testo delle conclusioni sull'Ucraina, dalla partecipazione al prestito comune basato sul bilancio Ue.
Tecnicamente, la Commissione emetterà obbligazioni, raccogliendo capitali sui mercati che poi girerà all'Ucraina, usando come garanzia l'headroom, il margine del bilancio pluriennale Ue, che è la differenza tra impegni e pagamenti. E' un metodo conosciuto e ben sperimentato, che assicura rapidità alla consegna del denaro a Kiev, mentre il prestito di riparazione avrebbe richiesto mesi. I tre Paesi dell'ex blocco di Visegrad vengono esentati da qualsiasi conseguenza finanziaria. Slovacchia e Ungheria non hanno appoggiato, inoltre, le conclusioni a 25 sull'Ucraina, che sono invece state appoggiate dalla Repubblica Ceca, la quale pure non parteciperà all'operazione prestito Ue.
I tre Visegrad non bloccano
De Wever, che ha "preparato a lungo" il vertice di ieri "parlando con molti" leader, ha riferito che, una volta constatato che il prestito basato sugli asset russi non disponeva dell'appoggio sufficiente, è bastato chiedere a Viktor Orban, Robert Fico e Andrej Babis, intorno alle due di notte, se fossero disposti a dare via libera alla cooperazione rafforzata, rimanendone fuori. Quando i tre hanno detto sì, si è spianata la via per il piano B, che era stato tenuto semicoperto fino a quel momento anche per dimostrare ai sostenitori del piano A, Germania in testa, che quest'ultimo era impraticabile. Così un Consiglio Europeo che rischiava di trascinarsi per giorni, o peggio di chiudersi senza un accordo, cosa che sarebbe stata un "disastro" per l'Ue, secondo De Wever, si è chiuso in una sola giornata, sia pure a tarda notte, con un accordo che consentirà all'Ucraina di evitare il default e di difendersi dalla Russia, almeno per i prossimi due anni.
Per Bart De Wever, comunque, la presidente Ursula von der Leyen ha fatto un "ottimo lavoro". Perché, ha ricordato, lei "fa quello che le dice il Consiglio". E il Consiglio Ue, istituzione diversa dal Consiglio Europeo, è presieduta in questo semestre dalla Danimarca, Paese a guida socialdemocratica ma saldamente frugale. La presidenza avrebbe fatto una specie di 'gioco delle tre carte', per così dire, trovando una sponda nella Commissione, presieduta da una politica tedesca. Nell'option paper di novembre dell'esecutivo Ue, erano elencate tre opzioni, per finanziare l'Ucraina: prestiti nazionali bilaterali, debito Ue e prestito di riparazione.
La prima è stata subito scartata, perché avrebbe gravato su bilanci nazionali già appesantiti da anni di deficit spending post pandemia. Dunque, restavano le altre due. La presidenza danese ha portato il prestito Ue al tavolo del Coreper, chiedendo se tutti fossero d'accordo: l'Ungheria, ovviamente e prevedibilmente, ha detto che non lo era. Sicché anche l'opzione del debito Ue è stata subito "messa sullo scaffale". E oplà: sul tavolo ne restava solo una, il prestito di riparazione, quella voluta dalla Germania di Friedrich Merz. De Wever, che è solo "un piccolo e povero belga", come si autodefinisce, ma è un politico scafato, ha insistito perché venissero messe sul tavolo "options", al plurale.
Meloni, 'ha vinto il buonsenso'
E così la presidente Ursula von der Leyen, accortasi che la "stragrande maggioranza" apparentemente favorevole al prestito di riparazione non era così granitica come la si voleva dipingere, ha fatto una decisa sterzata, ricordando, a Strasburgo, di aver presentato non una ma due opzioni, quella del debito Ue e quella basata sui beni russi. quando la prima era stata messa sul tavolo sapendo che l'Ungheria l'avrebbe stoppata.
Tuttavia, a quanto si è appreso a Bruxelles, la presidenza danese non avrebbe mai seriamente approfondito, con ungheresi e slovacchi, la possibilità di aggirare la loro contrarietà al prestito comune che, spacciato per impossibile, si è poi rivelato la via "più realista e praticabile" per finanziare l'Ucraina nei prossimi due anni, emettendo eurobond, per dirla con il presidente Macron.
E dunque, per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, "ha prevalso il buonsenso". L'Italia, schierandosi con il Belgio, insieme a Bulgaria e Malta, nel chiedere soluzioni alternative, ha avuto un ruolo importante nel modificare i 'pesi' degli schieramenti. Per De Wever, "ha vinto la razionalità". I beni congelati alla Russia restano nell'Ue, congelati indefinitamente, finché Mosca non avrà pagato le (auspicate per ora) riparazioni di guerra all'Ucraina.
Il premier belga ha chiarito che l'Ue intende usarli per la ricostruzione del Paese, una volta che la guerra sarà terminata. La decisione di vietare il trasferimento degli asset, presa a maggioranza qualificata, previene il rischio che i 210 mld di euro vengano riottenuti dalla Russia, che potrebbe usarli contro l'Ue, i cui leader il presidente Vladimir Putin ha definito "podvsvinok", termine russo particolarmente preciso, che indica i maialini di età compresa da 4 a 10 mesi, dalle carni tenere e succulente.
Scelta semantica che, casomai ce ne fosse bisogno, depone a favore della decisione di sottrarre al Cremlino a lungo la disponibilità di quei fondi. Il divieto di trasferimento è stato votato anche dal Belgio, dall'Italia e da altri Paesi scettici sulla soluzione di usarli per un prestito: questo provvedimento consegue già da solo un fine geopolitico, evitare cioè di consegnare alla Russia risorse che potrebbe usare contro l'Ue. Le conclusioni a 25 danno alla Commissione il mandato di continuare a lavorare sul prestito di riparazione, ma De Wever ha ricordato che quello concordato non è un esile prestito ponte, bensì una soluzione che finanzia in pieno l'Ucraina "per due anni".
De Wever, tutti i rischi del prestito di riparazione
Il Belgio, ha detto De Wever, ha accettato, in modo "costruttivo", di cercare, come gli è stato chiesto, di rendere praticabile l'opzione asset russi. Il premier ha tenacemente chiesto garanzie 'open-ended', o meglio 'uncapped', senza un tetto massimo: non, ha spiegato, per cattiva volontà, ma perché il Belgio ha un trattato bilaterale con la Russia in materia di investimenti che, pur essendo stato denunciato, consentirà a Mosca, per i prossimi sedici anni, di fare causa a Euroclear, chiedendole non solo il capitale, ma anche i danni. Il Lussemburgo, ha ricordato De Wever, è stato citato in giudizio da un oligarca cui l'Ue ha congelato beni per 9 miliardi di euro, chiedendo non 9 miliardi, ma ben "diciotto miliardi", danni inclusi.
Pertanto, ha spiegato De Wever ai colleghi, non è possibile determinare in anticipo l'ammontare delle garanzie necessarie, cosa che ha inquietato molti leader, non esattamente a proprio agio di fronte alla prospettiva di dover andare di fronte ai rispettivi Parlamenti a spiegare che sarebbe stato necessario approvare garanzie dall'importo imprecisato, per un tempo superiore ai 16 anni. Non solo. De Wever ha sottolineato che, procedendo alla quasi confisca dei beni russi, che una volta prestati all'Ucraina sono "andati", si sarebbe data al presidente russo Vladimir Putin una "corsia preferenziale", un validissimo pretesto per confiscare beni appartenenti a società o enti Ue.
Senza contare che lo scudo legale predisposto dalla Commissione nell'Ue protegge le aziende solo da cause avviate nell'Ue. Ma la Russia può benissimo fare causa a imprese o enti europei in "giurisdizioni più amichevoli" verso Mosca, per esempio in Cina, in Sudafrica o a Hong Kong. Una volta che De Wever ha spiegato tutte queste cose ai colleghi, l'entusiasmo nella sala per il prestito basato sui beni russi era sensibilmente "scemato", ha notato. A quel punto, quando il dibattito tra i leader aveva chiarito a tutti, Germania e Olanda incluse, che il prestito basato sugli asset russi sarebbe stato assai più costoso di un semplice prestito comune, garantito dall'headroom del bilancio pluriennale, la 'zona di atterraggio' era chiara.
Il ruolo del presidente Costa
Merito tra l'altro, oltre che della capacità di De Wever di resistere alle pressioni della Germania e di altri Paesi nordici che minacciavano di mettere il Belgio in minoranza, dell'abilità politica del presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa. All'inizio, la presidenza sembrava 'all in' per il prestito di riparazione, cosa che ha destato qualche stupore. Ma poi è apparso piuttosto chiaro che questo 'sbilanciamento' era teso a dimostrare alla Germania di aver fatto tutto il possibile per spingere una soluzione, rivelatasi poi, alla prova dei fatti, impraticabile.
E' stata così spianata la strada all'unica opzione che avrebbe potuto raccogliere l'unanimità, sia pure con tre opt-out: gli eurobond, parola tuttora tabù in Germania e anche nei corridoi della Commissione a trazione tedesca. Rispetto ai tempi di Charles Michel, nei quali la durata attesa di ogni summit era un'incognita, il portoghese Costa ha riportato ordine nella gestione del massimo organo di indirizzo politico dell'Ue.
Socialista con i piedi per terra, da giovane candidato sindaco di un sobborgo di Lisbona organizzò una gara tra una Ferrari e un asino, lungo una superstrada arcinota per le lunghe code subite dai pendolari. Vinse l'asino. La decisione sul sostegno all'Ucraina, per dirla con De Wever, ha dimostrato che nell'Ue non decidono solo i "grandi Paesi", ma che anche i Paesi "medi" e "piccoli" vengono rispettati, come eguali, e che le decisioni che si prendono sono "eque". Chi sottovaluta i belgi, e i portoghesi, lo fa a proprio rischio e pericolo. (di Tommaso Gallavotti)