Questo è il dato emerso dall’analisi EY European DEI Index che classifica l’Italia al sesto posto per le politiche di inclusività tra i nove Paesi europei analizzati
Solo il 6% delle aziende italiane sta realmente sviluppando una cultura inclusiva sul posto di lavoro. Questo è quanto è emerso dall’analisi dell’EY European DEI Index, in collaborazione con FT-Longitude che ha raccolto l’opinione di 900 manager e 900 dipendenti provenienti da 9 Paesi europei, compresa l’Italia.
Le tematiche dedicate ai principi DEI, Diversity, Equity e Inclusion sono sempre più al centro del dibattito aziendale moderno. Il 44% dei lavoratori italiani intervistati è d’accordo che la propria organizzazione dimostri un approccio consistente a tali politiche e per il 55% è “buono” l’impegno dimostrato per la creazione di un clima di fiducia e trasparenza. Ancora tanta strada, però, sembra debbano percorrere le aziende nazionali. Il grande assente? L’approccio strategico. Scopriamo insieme cos’è emerso.
L’approccio alla DEI non ha ancora reali strategie di realizzazione e soltanto due dipendenti su cinque dichiarano di poter essere sé stessi e sentirsi accettati sul lavoro.
Dall’indagine risulta che il 47% dei lavoratori italiani (contro il 36% dei colleghi europei) ha subito episodi di discriminazione sul luogo di lavoro e il 60% di essi (contro il 51% a livello europeo) dichiara di averli segnalati. Sussiste poi un divario tra manager e dipendenti quando si parla di sentirsi sicuri di essere se stessi sul luogo di lavoro: se il 72% dei manager italiani (+13% rispetto ai manager europei) si sente in grado di essere se stesso e di sentirsi accettato sul lavoro, la percentuale scende al 41% quando a rispondere sono i dipendenti. Ne consegue che i gruppi sottorappresentati in Italia hanno meno probabilità (19%) della media (31%) di sentirsi ascoltati.
I media e gli investitori hanno contribuito allo sviluppo delle strategie DE&I ponendo una rilevante attenzione ai temi Esg. Nonostante ciò, l’Italia non ha raggiunto posizioni competitive quando parliamo di inclusione e valorizzazione della diversità negli ambienti di lavoro. Questo perché mancherebbe l’approccio olistico.
“Le aziende italiane scontano soprattutto la mancanza di un approccio olistico al tema - Francesca Giraudo, Talent Leader di EY in Italia e Deputy Talent Leader in Europe West -: il più delle volte il dibattito sulla DEI si limita esclusivamente al tema dell’equità di genere, che ovviamente è molto importante, ma semplicemente non abbastanza. Inoltre, emerge una differente percezione delle misure implementate e dei risultati ottenuti tra dipendenti e management”.
Nonostante il 61% dei manager italiani (contro il 48% dei manager europei) affermino di non voler lavorare per organizzazioni inefficaci in termini di DEI, l’Italia risulta in ritardo rispetto alla media europea nell’applicazione dei principi di diversity, equity e inclusion in fase di selezione e colloquio: soltanto il 20% dei manager italiani (contro il 33%) ha erogato formazione sul tema ai responsabili del recruiting e soltanto il 23% (contro il 33% in Europa) ha adattato format di colloquio che soddisfino le esigenze dei candidati con disabilità.
Sulla parità di genere, invece, spiccano le azioni messe in campo dalle aziende per contrastare la disparità di genere e la diversità culturale (rispettivamente 70% e 40% del campione), mentre salta all’occhio che solo il 29% ha adottato misure per l’inclusione LGBTQAI+, il 23% per colmare le disuguaglianze socioeconomiche e il 14% per l’inclusione delle persone con disabilità. A preoccupare è il 35% degli intervistati secondo i quali l’inclusione della disabilità non è proprio presente nella propria strategia DE&I. Dati che si riflettono anche nella percezione che i lavoratori hanno delle proprie aziende: se il 57% degli italiani ritiene che la propria organizzazione abbia un buon livello di diversità etnica e culturale (in linea con la media europea), il 48% e il 44% valutano scarso rispettivamente il livello di diversità socioeconomica e l’inclusione delle persone con disabilità.
“L’Italia è ancora indietro rispetto agli altri paesi europei per quanto riguarda le strategie di diversity – ha spiegato Massimo Antonelli Ceo EY Italy e Chief Operating Officer EY Europe West -. Sicuramente per una questione di tempo, le attività di sensibilizzazione qui sono iniziate da poco, ma sono convinto che senza una vera trasformazione della cultura aziendale sia impossibile ottenere davvero dei progressi concreti. Lo conferma la survey con il 22% dei manager che lo identificano proprio come principale ostacolo al miglioramento. Per questo in EY abbiamo iniziato proprio da questo aspetto, avviando lo scorso anno una campagna volta a promuovere una nuova cultura che veda al centro la leadership, chiave per concretizzare azioni inclusive, il wellbeing, ancora troppo poco presente visto che quasi la metà dei dipendenti in questa survey dichiara di sentirsi sovraccarico, e naturalmente la performance, per rendere il cambiamento più concreto e tracciabile”.
I 22% dei manager italiani ha affermato che il principale ostacolo al miglioramento del DEI è legato a resistenze culturali interne, ma una percentuale pari afferma che non esistono ostacoli al miglioramento del DEI. E anche se i vincoli di bilancio siano indicati quale ostacolo soltanto dal 19% dei manager italiani (contro il 26% dei manager EU) l’Italia è tra i Paesi con la spesa più bassa per quanto riguarda il DEI, con 3,99 milioni di euro contro i 5,75 della Spagna (in testa per spesa media annua per il DEI).
Questa è una delle ragioni per le quali l’Italia si posiziona in sesta posizione (con un punteggio pari a 5,63) tra i paesi presi in esame, secondo l’EY European DEI Index, che misura il successo delle organizzazioni nel perseguire i propri obiettivi DEI. Solo un piccolo gruppo di organizzazioni italiane, il 6%, sembra essere più efficiente; i dipendenti che lavorano per queste aziende riportano maggiori livelli di produttività e senso di appartenenza.