
Intervista con Luca Peyron, sacerdote e teologo, in vista del primo raduno giubilare del mondo digitale
Il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici è il primo appuntamento ufficiale che la Chiesa dedica a chi evangelizza nelle piazze virtuali. Si svolgerà a Roma il 28 e 29 luglio 2025, con pellegrinaggi, workshop e un grande raduno digitale pensati per oltre mille creator, streamer, podcaster e social media manager che diffondono il Vangelo online. Tra gli eventi in programma - coordinato dal Dicastero per la Comunicazione -ci sono l’attraversamento della Porta Santa, la messa a San Pietro e il festival a piazza Risorgimento.
Tra i relatori c’è Luca Peyron, don Luchino su Instagram, presbitero, teologo, scrittore e divulgatore scientifico. Ha diretto la Pastorale Universitaria torinese, coordina il Servizio di Apostolato Digitale e insegna Spiritualità delle tecnologie emergenti all’Università Cattolica di Milano. Scrive di intelligenza artificiale, promuove laboratori Stem negli oratori e ora ha persino un asteroide che porta il suo nome—riconoscimento dell’Unione Astronomica Internazionale per la divulgazione tra scienza e fede. Colto, appassionato, capace di parlare con chiunque, nerd al punto giusto.
Don Luca, parliamo di questo primo Giubileo per missionari digitali, che cosa vi aspettate?
Il primo dato che salta agli occhi è il numero delle iscrizioni: dice la voglia di incontrarsi faccia a faccia. È paradossale ma eloquente che un evento dedicato al digitale ruoti attorno al corpo, allo sguardo, alla stretta di mano. Il programma è una costellazione di cerchi ristretti, tavoli di lavoro e liturgie pensate perché chi abita il web senta di nuovo la fisicità della Chiesa. Si parla anche di influencer, ma non siamo qui per farci notare, ma per esserci per chi il mondo spesso non vede. La presenza online non è un mestiere né un hobby: è parte della vocazione di ciascuno di noi, un “chi ci sta?” lanciato a chi fatica a farsi ascoltare offline.
Chi sono le persone che cercano ascolto online?
Ci sono incontri inaspettati: non solo l’adolescente in crisi, ma anche inviati di guerra che trovano un orecchio amico in una giovane suora; oppure studenti fuori sede che trovano casa in un gruppo scout nato proprio in rete. Il Giubileo vuole dare un volto a queste storie e creare una rete reale che resti anche dopo i like.
Molti cercano online le grandi risposte della vita e perfino un “confessore” virtuale. L’intelligenza artificiale può sostituire il parroco?
È un’illusione: la macchina imita, ma non incarna. Al massimo fornisce un algoritmo di consolazione che rischia di rinchiuderci in una bolla dove abbiamo sempre ragione. Ciò di cui soffriamo non è mancanza di informazione ma di empatia. Ho visto “oceani di solitudine” tra i ventenni dell’università: drammi giganteschi che chiedono uno sguardo, non un prompt. Quando non trovi l’originale, ti accontenti del surrogato e finisci col crederlo l’unica cosa possibile. La vera amicizia, invece, sa anche “darti uno schiaffo” - cioè contraddirti per il tuo bene. Un’AI non può farlo e, quel che è peggio, se fallisce ti convince che la risposta non esista. È il rischio di passare dalle droghe chimiche degli anni ’70 alle droghe informatiche degli anni 2030.
La Chiesa è uno degli ultimi baluardi delle relazioni di comunità?
Spero di no - sarebbe triste! Tuttavia la nostra fede nasce dall’Incarnazione: la corporeità è nel Dna dell’annuncio e la Chiesa non vi rinuncerà mai. Essere cattolici - “universali” - significa cercare complementarietà tra presenza fisica e presenza digitale. Chi abita il continente online invita sempre, prima o poi, a uscire dallo schermo e a bussare a una porta reale. Il Giubileo servirà anche a intrecciare contatti concreti, perché nessuno resti orfano di comunità. C’è poi un lavoro culturale: custodire l’umano di fronte alla tecnologia, offrendo una antropologia, una sociologia e perfino una “metafisica” che distinguano narrazioni salvifiche da narrazioni mortifere. Su questo la Chiesa oggi è pronta alla sfida della tecnologia come forse non accadde con Gutenberg o con la rivoluzione industriale.
E per i giovani appassionati di scienza e tecnologia, esistono spazi offline dove coltivare queste passioni?
Nel mio oratorio non ci sono calcetti ma una batteria di telescopi e server per il machine learning: facciamo catechesi con i meteoriti! La meraviglia del cielo stacca gli occhi dallo smartphone e fa nascere dialoghi impensati. La bellezza guarisce e genera comunità; per questo abbiamo vinto un bando Pnrr per un telescopio solare remoto che collegherà scuole di tutta Italia.
Fino a qualche anno fa chi frequentava la parrocchia era visto come “sfigato” dai propri coetanei. Oggi è diverso?
Questa generazione è splendida perché non chiama più “sfigato” chi fa scelte diverse. Hanno imparato non attaccare etichette. A noi adulti spetta mostrare, e poi dimostrare con la vita, che il cristianesimo non è roba da nonni ma parla anche ai quindicenni. Per questo in parrocchia convivono telescopi, chitarre e server: segni visibili di una fede che dialoga con il presente.
Quale risultato concreto sperate di portare a casa dal Giubileo?
Quello di ogni incontro che pone al centro Cristo: riscoprirci parte di un unico corpo. Immagino la ruota di una bici: i raggi, lontani tra loro, convergono nel mozzo e lì si scoprono vicini. Poi tornano nel mondo con la gioia di aver camminato insieme. (di Giorgio Rutelli)