
Se ne è andato a 85 anni il volto infantile del Neorealismo. A scoprirlo fu Vittorio De Sica, che lo strappò alla strada della Garbatella per farne un'icona del cinema mondiale
Se n'è andato in punta di piedi, come era arrivato sul grande schermo: con la naturalezza dei bambini e lo sguardo che buca la pellicola. Enzo Staiola, il piccolo Bruno di "Ladri di biciclette", è morto mercoledì 4 giugno a Roma, all'età di 85 anni. Lo ha annunciato il sito Cinematografo.it, ricordando che Staiola si è spento nella città dove era nato il 15 novembre 1939 e dove ha sempre vissuto, nel quartiere popolare della Garbatella, là dove tutto era cominciato.
Era il 1948 quando Vittorio De Sica, in cerca di autenticità per il suo nuovo film, lo notò per strada. Non sapeva recitare, non aveva mai messo piede su un set, ma camminava "come un uomo piccolo" e aveva negli occhi qualcosa che lo rendeva diverso da tutti gli altri: malinconia, dignità, fame. Era l'infanzia del dopoguerra impressa su un volto. Così nacque Bruno Ricci, il figlio del disoccupato Antonio (Lamberto Maggiorani), in un film che sarebbe diventato uno dei pilastri del Neorealismo e del cinema mondiale.
Staiola non interpretava: era. Non si dimentica il suo sguardo fisso quando il padre ruba una bicicletta, la macchina da presa che si avvicina lentamente, quel silenzio più potente di mille battute. La sua recitazione era fatta di pudore e verità, la stessa che animava i non-attori scelti dal Neorealismo per raccontare un'Italia ferita ma ancora viva. "Ladri di biciclette" vinse l'Oscar per il miglior film straniero, il Bafta, il Golden Globe, cinque Nastri d'argento e il plauso eterno della cinematografia internazionale, da André Bazin a Francois Truffaut, da Steven Spielberg a Martin Scorsese.
La leggenda vuole che De Sica, per farlo piangere in scena, lo umiliasse davanti alla troupe o gli accendesse le sigarette sotto gli occhi: aneddoti controversi, forse ingigantiti dal tempo, ma che restituiscono la complessità di un rapporto padre-figlio, regista-attore, destinato a entrare nella storia del cinema.
Dopo "Ladri di biciclette", Enzo Staiola recitò ancora: accanto a Gina Lollobrigida, Anna Magnani, Aldo Fabrizi, in film come "Cuori senza frontiere", "Vulcano", "Altri tempi", fino a "La contessa scalza" di Joseph L. Mankiewicz. Ma quella magia non si ripeté. Era stato il volto di un momento irripetibile, e da quel momento era rimasto, per tutti, "il bambino del Neorealismo".
Negli anni '60 Enzo Staiola lasciò il cinema, senza clamore, per una vita da impiegato del catasto. Una scelta sobria, coerente con quella sua aria schiva e dignitosa. Non cercò mai i riflettori, ma li aveva già conquistati da bambino con un solo film, e con quello era entrato nell’eternità. Lo si incontrava ancora, ogni tanto, nei vicoli della Garbatella, dove aveva vissuto l'infanzia e la vecchiaia. Sapeva di aver partecipato a qualcosa di grande, ma non lo ostentava. Quando parlava di De Sica, lo faceva con affetto. Quando parlava del cinema, lo faceva con misura. (di Paolo Martini)