
La Commissione Europea ha annunciato che 18 Stati membri dell’Unione, fra cui l’Italia, hanno chiesto di accedere ai prestiti del fondo Security Action for Europe (SAFE) per aumentare le loro spese militari. Gli altri Stati sono Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Spagna, Finlandia, Ungheria, Lituania, Slovacchia, Lettonia, Croazia, Polonia, Grecia, Portogallo, Romania, Francia. Il Commissario europeo per la Difesa, Andrius Kubilius, ha detto che sono stati richiesti almeno 127 miliardi di euro, cioè la grossa maggioranza dei 150 miliardi di euro previsti da SAFE. Per accedere, i Paesi membri devono presentare dei progetti condivisi da almeno due governi. Dovranno poi restituire i prestiti con interessi molto bassi nell’arco di 45 anni. Al momento gli Stati hanno comunicato alla Commissione l’importo minimo e massimo che intendono chiedere in prestito nel corso dell’anno, ma queste cifre non sono state rese note. Il Vice Primo ministro polacco Władysław Kosiniak-Kamysz ha detto che il suo governo ha chiesto 45 miliardi, probabilmente la richiesta più alta fatta da un singolo Paese. La Polonia d’altronde è già adesso il paese europeo che spende di più per la propria difesa in relazione al Prodotto interno lordo (PIL) e a marzo aveva annunciato il suo piano per ottenere l’esercito più grande d’Europa, in risposta alla minaccia della Russia. Per decenni la protezione militare dei Paesi dell’Unione è stata sostanzialmente garantita dagli Stati Uniti. Ora le esigenze sono cambiate, anche in riferimento al sostegno all’Ucraina. Guardando alla difesa, e ai rapporti fra gli Stati Uniti e gli alleati, l’altra grande novità è l’incremento delle spese al 5% del Pil per gli Stati membri della Nato. Anche se non tutto lo sforzo va considerato solo in ottica militare. Rispetto al totale, nel 3,5 per cento rientrano le spese strettamente militari previste dalla definizione ufficiale della Nato: le forze armate, l’addestramento, l’acquisto e la manutenzione di armi e mezzi, la logistica e altre voci, tra cui il supporto militare all’Ucraina. L’1,5 per cento comprende invece voci più ampie legate alla sicurezza, come la protezione delle infrastrutture critiche (porti, reti elettriche, ferrovie), la difesa delle reti informatiche, il rafforzamento della preparazione civile in caso di emergenze e il sostegno alla ricerca e innovazione nel settore.
Ogni Stato membro della Nato potrà scegliere come raggiungere l’obiettivo entro il 2035. L’accordo non impone aumenti annuali prefissati. Come spiegato nelle conclusioni del vertice che ha sancito la decisione, nel 2029 verrà fatta una valutazione della traiettoria di spesa degli alleati, che ogni anno dovranno comunque presentare una relazione sul percorso ‘credibile’ e ‘incrementale’ verso il 5 per cento. Per quanto riguarda l’Italia, resta ferma l’indicazione del governo: “Gli impegni assunti durante il vertice Nato del 24 e 25 giugno scorso, per un aumento delle spese di difesa entro il 2035, sono sicuramente un obiettivo molto ambizioso”, ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in Parlamento, assicurando che “il governo non è comunque disposto a mettere in discussione la salvaguardia delle voci di spesa più orientate alla crescita e al benessere economico e sociale degli italiani, come il sostegno alle famiglie e ai servizi sociali”.